Come spiega Jim Reid di Deutsche Bank, le elezioni negli Stati Uniti di sole tre settimane fa hanno prodotto un enorme divario tra le varie asset class e tra mercati sviluppati ed emergenti.
La divergenza è particolarmente evidente nei mercati azionari. L’S&P 500 ha segnato un +4%, registrando il miglior mese da marzo. Bene anche lo Shanghai Composite (+ 3%) e il Micex di Mosca (+ 4%). In luce il settore bancario, con un rally dell’indice S&P 500 Financials del 14% sulla scia delle attese di un allentamento della regolamentazione bancaria negli Usa.
In Europa, la performance dei mercati azionari è stata più debole. Lo Stoxx 600, in particolare, ha perso il 3% a novembre in dollari, mentre le banche europee sono risultate invariate.
Reid evidenzia soprattutto la debolezza delle aree periferiche, prime fra tutte l’Italia con il FtseMib a -4%, Spagna e Portogallo entrambe in flessione dell’8%.
In difficoltà anche i mercati emergenti: l’indice MSCI EM ha lasciato sul campo il 5% e il paniere brasiliano Bovespa, caratterizzato da volatilità per tutto l’anno, ha ceduto il 10% guadagnandosi il titolo di peggiore performer tra tutte le classi di attività.
Tra le materie prime, il petrolio è risultato poco mosso prima della riunione dell’Opec. Successivamente, la notizia dell’esito positivo del vertice ha prodotto un balzo dei prezzi di quasi il 10% nell’ultimo giorno del mese, contribuendo a spingere WTI (+6%) e Brent (+5%) rispettivamente al secondo e terzo posto tra le commodity a novembre.
La performance delle altre materie prime è stata contrastante il mese scorso con oro (-8%) e argento (-8%) in negativo e rame a +19%, sostenuto dalle attese di un incremento della spesa nelle infrastrutture sotto la presidenza di Donald Trump.