E se vincesse la Le Pen? Ecco quali sarebbero le conseguenze per gli investitori

Tanti gli appuntamenti politici di questo inizio 2017. Tra questi ci sono le elezioni di aprile e maggio in Francia che porteranno alla nomina di un nuovo presidente. E i recenti sondaggi suggeriscono che Marine Le Pen, leader del Front National, un partito nazionalista conservatore francese, sia una candidata temibile. L’ondata di cambiamento politico che ha trascinato il voto sulla Brexit in Gran Bretagna e dominato le elezioni presidenziali statunitensi continuerà anche in Francia? In tal caso, quale sarebbe l’impatto di una presidenza Le Pen per gli investitori, le imprese e i mercati finanziari in Europa e più in generale?

Secondo Mark Burgess, Chief Investment Officer EMEA e Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments, la reazione immediata dei mercati sarebbe probabilmente un picco di volatilità dovuto all’incertezza riguardo agli sviluppi futuri. Il mercato europeo potrebbe cedere nell’immediato fino al 10% per via dell’incertezza sulle possibili implicazioni per l’Ue, con ripercussioni potenzialmente maggiori sulle borse mondiali.

“I mercati finanziari scontano già un certo grado di incertezza in Francia”, ha commentato Burgess. “I titoli di Stato francesi sono apparsi alquanto volubili sin dalla vittoria elettorale di Trump negli Stati Uniti, anticipando il rischio di una vittoria della Le Pen. La reazione immediata dei mercati sarebbe probabilmente un picco di volatilità per gli asset francesi dovuto all’incertezza riguardo agli sviluppi futuri. Poiché si ritiene che una presidenza Le Pen accrescerebbe la probabilità di un abbandono dell’euro da parte della Francia, nel caso di una sua vittoria ci aspetteremmo un marcato ampliamento dello spread tra le obbligazioni francesi e i Bund tedeschi. A titolo di paragone, si noti che tale spread ha raggiunto i 150 pb circa al culmine della crisi dell’eurozona nel biennio 2011/12 ed è alquanto probabile che faccia ritorno a quel livello. Analogamente, si amplierebbero i differenziali di altre obbligazioni periferiche e semi-core, in linea con l’aumento del rischio di disgregazione”.

E sul fronte azionario, il mercato europeo potrebbe cedere nell’immediato fino al 10% per via dell’incertezza sulle possibili implicazioni per l’UE, con ripercussioni potenzialmente maggiori sulle borse mondiali. Le società con fondamentali solidi in settori meno interessati dai cambiamenti geopolitici dovrebbero dare prova di una discreta tenuta. “Tuttavia, tornando al problema del debito denominato in euro, a essere penalizzate maggiormente sarebbero con ogni probabilità le banche europee, che potrebbero lasciare sul terreno il 20-30%, vista la flessione del 20% accusata in reazione alla Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea rappresenta verosimilmente un evento insignificante rispetto a una completa disgregazione dell’UE, giacché, con un ritorno dei singoli paesi alle loro valute pre- euro, si avrebbe un notevole squilibrio tra attività e passività bancarie ancora denominate in euro”.

“Gli istituti di credito europei sono ormai da anni sull’orlo di una crisi, come ad esempio quando la Grecia era sul punto di uscire dall’Unione. A medio termine, considerata la situazione in cui si trova attualmente il sistema bancario italiano, quest’ultimo non sembra in grado di poter resistere alle conseguenze di un crollo dell’euro. A essere colpiti non sarebbero soltanto i paesi fortemente indebitati, ma anche quelli come la Germania (che detiene titoli di debito francesi e italiani). Secondo lo European Law Journal, “i finanziatori privati aumenterebbero immediatamente la pressione (spread) sugli Stati membri che non hanno ancora abbandonato l’euro, generando costi incalcolabili sotto forma di un effetto domino che finirebbe anche per mettere a repentaglio l’economia dei paesi con un avanzo commerciale, che perderebbero una fetta importante dei loro mercati per le esportazioni”.

“In questo scenario rimarrebbero probabilmente un premio e una certa ripidità della curva a causa del mix di politiche più inflazionistiche e meno conservatrici dal punto di vita fiscale. Allo stesso modo, le obbligazioni francesi indicizzate all’inflazione, che attualmente scontano tassi di pareggio di circa l’1,31% su 10 anni, metterebbero a segno performance brillanti”.

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