IPOTESI NUOVO INTERVENTO FITD – Nel caso italiano, tuttavia, si starebbe ancora cercando di evitare la risoluzione e la successiva cessione dei due istituti ai due maggiori gruppi italiani, non esistendo la forte ratio industriale emersa nell’operazione Banco Popular-Banco Santander, come notano sempre gli analisti di Fidentis, ma cercando semmai di ripetere lo schema di un rifinanziamento “volontario” del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) che coinvolgerebbe oltre a Unicredit (che originariamente avrebbe dovuto garantire l’aumento di Bpvi) e Intesa Sanpaolo (inizialmente capofila del consorzio per l’aumento di Veneto Banca) anche altri istituti “sani” come già avvenuto nel caso delle quattro banche risolte a fine 2015, ovvero Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti, poi cedute a Ubi Banca, e CariFe, per la quale si attende a breve l’intervento di Banca Bper.
GLI OSTACOLI INCONTRATI FINORA CADRANNO? – Contro questa ipotesi hanno finora giocato non solo le ripetute dichiarazioni contrarie ad ulteriori interventi da parte dei vertici delle maggiori banche italiane, a partire proprio da Intesa Sanpaolo, ma anche il diniego da parte delle autorità europee ad un eventuale “sconto” sulla cifra di capitali privati da far intervenire prima di un eventuale via libera alla ricapitalizzazione precauzionale da 6,4 miliardi di euro complessivi (cifra che anzi lievitata da 1 a 1,2-1,3 miliardi di euro) e l’incertezza circa i tempi e l’ammontare che si potrebbe ricavare dalla cessione di alcune partecipazioni come il 20% che sia Bpvi sia Veneto Banca possiedono in Arca Sgr. Tuttavia se si vuole evitare la risoluzione ai sensi della direttiva BRRD delle due ex popolari venete o la cessione a prezzi di saldo degli asset degli stessi a soggetti italiani o stranieri, non si vedono molte altre alternative ad un nuovo intervento delle maggiori banche tricolori.