I DIAMANTI NON SONO AMICI DELLE BANCHE – I diamanti possono essere i migliori amici delle ragazze, ma non sempre lo sono degli investitori e delle banche, rappresentando anzi uno dei settori più opachi di tutta l’economia mondiale. Così, secondo quanto riferisce Bloomberg, è costato molto caro a Standard Chartered l’idea di provara a fare business finanziando transazioni tra società minerarie, rivenditori all’ingrosso, gioiellerie e commercianti al dettaglio.
400 MILIONI DI DOLLARI POSSONO NON BASTARE – Secondo quanto ricostruisce Bloomberg, dal 2013 a oggi Standard Chartered avrebbe accantonato circa 400 milioni di dollari a copertura delle perdite attese su un portafoglio di prestiti al settore che era arrivato ad un picco di 3 miliardi di dollari (4,5 miliardi contando anche i prestiti a società minerarie e commercianti al dettaglio), ma l’opera di pulizia avviata dal nuovo Ceo Bill Winters, in carica da un paio d’anni, non sarebbe ancora finita.
LA “DISSOLUTEZZA” DI STANDARD CHARTERED – A far pentire la banca di una decisione assunta dal top management durante la gestione di Peter Sands e rivelatasi, come altre, una “dissolutezza”, sempre secondo Bloomberg, sarebbero state sanzioni per oltre 1 miliardo di dollari che l’istituto ha dovuto pagare alle autorità Usa per violazioni alla normativa anti riciclaggio. Penali che non hanno riguardato i prestiti erogati alle società diamantifere, ma una serie di frondi la cui presenza sembrerebbe essere una costante nella storia del settore.
L’ERRORE DI CREDERSI MIGLIORI DEGLI ALTRI – Secondo alcune fonti sentite da Bloomberg, Standard Chartered avrebbe commesso l’errore, fatale, di credere di capire il business meglio di altri, scoprendo poi a proprie spese che così non era. Una situazione che ricorda molto quanto accaduto con la crisi dei mutui subprime che nel 2009 portò altre grandi banche tra cui Jp Morgan Chase, Bank of America e Hsbc Holdings ha uscire dal business proprio mentre Standard Chartered provava a ritagliarsi una sua quota di mercato, per quanto i prestiti al settore diamantifero non abbiano mai rappresentato più del 2% degli asset della banca.
UN TIMING DAVVERO INFELICE – Come minimo un timing infelice, visto che complice la crisi il prezzo dei diamanti crollò mettendo in seria difficoltà un settore che vedeva (e vede tuttora) le miniere concentrate in Sud Africa (e Russia), i maggiori commercianti all’ingrosso in Belgio, i tagliatori in India e gioiellerie e rivenditori al dettaglio in tutto il mondo, Usa in testa. Un puzzle complicato da monitorare, nonostante il sistema interno di controllo dei rischi di Standard Chartered. Una vicenda che dovrebbe costituire un monito per tutti coloro che con troppa superficialità pensano che investire in diamanti assicuri elevati rendimenti per sempre.