Vontobel: la stagnazione secolare non è il nostro destino

NON MORIREMO DI STAGNAZIONE SECOLARE – La “stagnazione secolare” (termine originariamente coniato dall’economista Alvin Hansen, docente alla Harvard University e consulente dei presidenti americani Franklin D. Roosevelt e Harry Truman, ripreso poi quasi 80 anni dopo da un altro economista, Larry Summers, per indicare uno stato di crescita anemica) non è il nostro destino.

RIPRESA RESTA POCO PROFONDA – Ne è convinto Christophe Bernard, capo strategista di Vontobel, secondo cui per quanto vi siano pochi dubbi circa il fatto che la ripresa in atto sia la meno profonda dal termine della Seconda Guerra Mondiale, ciò sarebbe da ascriversi ad investimenti insufficienti in infrastrutture, educazione e spese in conto capitale.

CICLO DI INVESTIMENTI IN ARRIVO – Ma mentre è ancora da vedere se le promesse fatte da Donald Trump in campagna elettorale o le richieste del numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, perché la Germania reinvesta il suo avanzo commerciale record in investimenti infrastrutturali porteranno a politiche per incrementare gli investimenti negli Usa o in Europa, “non vi sono dubbi che un ciclo di spese per investimenti incombe su di noi”.

SI VA VERSO RECUPERO PRODUTTIVITA’ – Dati i livelli modesti dei tassi e il venir meno della tregua sulle retribuzioni, “gli incentivi per le imprese a rinnovare la loro dotazione di capitali aumenteranno” e questo dovrebbe portare ad un incremento della produttività in Occidente “verso un tasso annuale di circa l’1,5%”, chiaramente inferiore a quello registrato fino al 2006 ma migliore di quello visto nei 10 anni successivi e molto oltre gli attuali, depressi, livelli di attese di mercato.

TASSI REALI TORNERANNO A CRESCERE – Per i mercati, nota l’esperto di Vontobel, il fattore determinante di lungo periodo dei tassi d’interesse reali è proprio il grado di produttività. Pertanto ci si dovrebbe aspettare che i tassi si muovano in direzione di livelli più elevati col passare del tempo, cosa che non promette nulla di buono per i titoli di stato dei paesi “core”, per i corporate bond a più elevato rating e per l’oro. Previsioni di più elevati livelli di produttività consentirebbero infatti alle banche centrali di normalizzare gradualmente la propria politica monetaria. “Ciò non sarebbe necessariamente un male per i listini azionari, finché gli utili aziendali continueranno a salire”, conclude Christophe Bernard.

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