UBP: la crescita globale pesa sull’oro, possibile consolidamento nel breve termine a 1.250 dollari

A cura di Névine Pollini, Senior Commodities Analyst di Union Bancaire Privée – UBP

Il generale miglioramento del sentiment sul rischio determinato dalla ripresa sostenibile e sincronizzata della crescita economica globale e dall’ottimismo circa la riforma fiscale USA non è stato molto favorevole per l’oro in quanto gli investitori sono stati più inclini a spostarsi su asset più rischiosi.

Nel breve periodo, ci aspettiamo che la performance dell’oro risenta soprattutto dell’aumento dei rendimenti obbligazionari statunitensi e del rafforzamento del dollaro. Poiché i dati economici dovrebbero restare solidi, la Fed avrà le basi per un aumento dei tassi di interesse a dicembre (per il quale la probabilità di mercato implicita è di circa l’80%). Sebbene negli ultimi mesi si sia registrata una debolezza dell’inflazione core, il presidente della Fed, Janet Yellen, considera tale debolezza momentanea – in parte dovuta, tra le altre cose, al forte calo dei prezzi dei servizi di telefonia wireless – e non correlata allo sviluppo economico.

I funzionari della Fed continuano a prevedere un ulteriore aumento dei tassi di 25 punti base entro la fine dell’anno e altri tre rialzi nel 2018. La Fed ha anche annunciato la riduzione del suo bilancio da 4,5 mila miliardi di dollari a un ritmo di 10 miliardi al mese a partire da questo mese, fattore che spingerà al rialzo i rendimenti obbligazionari e che rafforzerà ulteriormente il dollaro.

Probabilmente la BCE sarà la prossima ad annunciare una normalizzazione della sua politica monetaria, con maggiori dettagli da rivelarsi durante la riunione del 26 ottobre, e anche ciò potrebbe pesare sulla performance dell’oro.

Un altro fattore potenziale di debolezza per il metallo giallo è la nomina da parte di Trump del prossimo Presidente della Fed, dal momento che Janet Yellen terminerà il suo mandato a febbraio 2018. Al momento, il favorito di Trump sembra essere l’ex banchiere di Morgan Stanley, nonché ex governatore della Fed, Kevin Warsh che è considerato un falco aggressivo e che è stato piuttosto critico nei confronti della recente politica dell’Istituto centrale americano, al punto di aver sostanzialmente dichiarato che la Fed nelle sue decisioni sembra dipendere più dai trend che non dai dati.

D’altro canto, crediamo comunque che i prezzi dell’oro potrebbero rispondere positivamente a un’altra serie di fattori come una rinnovata intensificazione del conflitto tra Corea del Nord e Stati Uniti o una nuova crisi del tetto sul debito. Il Presidente Trump e i democratici hanno recentemente raggiunto un accordo temporaneo sull’estensione del tetto del debito statunitense, ma questo scadrà a metà dicembre e ci aspettiamo che il massimale verrà nuovamente raggiunto, il che potrebbe contribuire a indebolire il dollaro. Anche se crediamo che all’ultimo momento verrà trovata, come al solito, una soluzione, non si può escludere una chiusura parziale del governo statunitense, come quella dell’ottobre 2013. Vale anche la pena vagliare la possibilità che Trump realizzi rapidamente il suo ambizioso pacchetto di riforma fiscale, poiché una delle molte sfide che questo piano dovrà affrontare è la questione del deficit di bilancio; un fallimento della riforma fiscale (anche se improbabile) potrebbe rivelarsi estremamente favorevole per l’oro.

Tenuto conto di tutto ciò, nel breve termine restiamo cauti sull’oro che potrebbe consolidarsi attorno alla soglia dei 1.250 dollari, vicino alla sua media mobile di 200 giorni; mentre sul più lungo periodo rimaniamo costruttivi in quanto gli investitori, alla fine, potrebbero decidere di rifugiarsi nel metallo giallo per mettere al sicuro i propri asset.

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