Azioni americane da record: che fare?

A cura di Lukas Daalder, Chief Investment Officer di Robeco Investment Solutions

Le azioni hanno continuato a stabilire nuovi record, con i titoli azionari dell’S&P 500 che hanno aumentato il divario rispetto agli utili societari sottostanti e ad altri mercati azionari. Tuttavia, il rimbalzo potrebbe proseguire fino all’arrivo di un evento dirompente, e paradossalmente nel caso di una tale correzione, il posto più sicuro sarebbe il mercato statunitense.

Il mercato USA è stato più che disponibile ad ignorare i rischi e cercare le ragioni per crescere ancora. Il dinamismo è notevole, ma accresce i timori degli investitori: il mercato USA non è forse diventato costoso? Il valore del mercato può essere analizzato in tre modi. Il primo è quello di analizzare il rapporto prezzo-utili corretto per il ciclo (CAPE – Cyclically Adjusted Price to Earnings), che mette a confronto la media degli utili reali su 10 anni con il prezzo dell’S&P 500. È noto che il dato sul CAPE raggiunse l’apice poco prima della bolla speculativa delle dot.com, oltre che poco prima del crollo delle borse che segnò l’inizio della Grande Depressione degli anni ‘30. Con un dato a fine settembre di 30,7 volte gli utili, le azioni USA sono ormai nettamente al livello del 5% più costoso della storia. Un altro modo per mostrare come l’S&P 500 abbia scontato molte buone notizie – superiori alla crescita economica reale – è confrontare il rialzo dell’indice con gli utili attesi. Negli ultimi sei anni, gli utili per azione pubblicati sono aumentati del 22%, mentre l’S&P 500 cresceva cinque volte tanto (122%). Non si può quindi negare che negli ultimi anni l’S&P 500 abbia strutturalmente superato l’economia sottostante. Un metodo meno ortodosso sviluppato da Bank of America Merrill Lynch è quello di osservare per quante ore deve lavorare un cittadino statunitense medio per acquistare una “unità” dell’indice S&P 500. Mentre nel momento peggiore della flessione del 2009 occorrevano 40 ore, adesso le ore sono quasi triplicate, a 113, il massimo di tutti i tempi. Neanche durante il picco della bolla delle dot.com occorrevano tante ore di lavoro per permettersi l’S&P 500. Pur non trattandosi di uno strumento di valutazione molto ortodosso, esso mette comunque in evidenza il divario che abbiamo rilevato negli ultimi anni tra lavoro e capitale. La conclusione è semplice: le azioni USA sono costose.

Ma qui arriva il paradosso: nel caso di una correzione dei mercati azionari, è probabilmente meglio possedere azioni USA che tendono a perdere meno di altre regioni in caso di flessione. Persino durante gli eventi che dovrebbero penalizzare più gli USA dell’Europa, come l’11 settembre e la crisi dei sub-prime, le azioni europee hanno perso più terreno. Di conseguenza, nel caso di una correzione generalizzate delle borse, è probabilmente meglio possedere azioni USA piuttosto che titoli europei. Questa linea di pensiero porta ad un esito paradossale: le azioni USA sono costose e potrebbero registrare una correzione, ma se questa probabilità si concretizzasse, gli USA sono il posto migliore in cui aver investito!

Motivo per preoccuparsi?
La questione principale per gli investitori ora è capire se la sopravvalutazione dei mercati azionari USA diventerà presto la principale fonte di preoccupazione. Osservando il mercato, la risposta sembra essere un ‘no’ piuttosto netto. Potrebbe trattarsi del rimbalzo meno amato della storia, ma questo non gli ha impedito di proseguire fino ad oggi. La valutazione potrebbe essere troppo alta, ma questo di per sé non rappresenta mai un’argomentazione valida per vendere azioni.

Il fatto che le brutte notizie relative alla Corea del Nord abbiano prodotto meramente una contrazione passeggera è un chiaro segnale della solidità del momentum e che le correzioni siano considerate semplicemente come opportunità di acquisto, almeno per ora. La valutazione è raramente una ragione in sé per una correzione delle azioni: occorre tradizionalmente uno shock di qualche genere per innescare una correzione.

Dopo aver mantenuto una posizione neutrale sulle azioni nel 2017, non siamo certo entusiasti di fare questa scelta, ma a volte occorre lasciare da parte le ragioni fondamentali e optare per un approccio dettato dal momentum. Nel complesso, abbiamo ridotto il posizionamento sulle obbligazioni ad alto rendimento, ora sottoesposte, poiché gli spread erano scesi eccessivamente ed esiste un maggior rischio di liquidità, ma abbiamo inoltre aumentato la sottoesposizione dei titoli di Stato, a vantaggio delle azioni. Questa operazione determinata dal momentum e la presenza di un meccanismo di stop-loss significano che questa posizione può essere chiusa rapidamente.

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