Ray Dalio (Bridgewater) scommette 18 miliardi di dollari contro l’Europa

A Dalio l’Europa non piace più

Cosa ha mai fatto l’Europa a Ray Dalio, l’investitore milionario americano che col fondo hedge Bridgewater ha accumulato una posizione “corta” che ormai è arrivata a valere ben 18 miliardi di dollari contro titoli europei? Si tenga presente che solo a fine ottobre Bridgewater, che gestisce 150 miliardi di dollari, aveva segnalato una posizione “corta” contro una manciata di titoli italiani (Unicredit, Banco Bpm, Bper Banca, Ubi Banca e Generali) per circa 770 milioni di euro, posizione poi cresciuta sia come numero di titoli (18) sia come consistenza (3 miliardi) già a gennaio.

Situazione ideale per vendere

In realtà pare che il vecchio continente si trovi in una situazione molto vicina a quella che Dalio ritiene contraddistinguere il momento migliore per vendere, ossia un’economia forte (lo scorso anno è cresciuta al ritmo più elevato degli ultimi 10 anni), vicina al pieno impiego e tassi d’interesse in crescita (Mario Draghi, numero uno della Bce, ha confermato ancora di recente che i tassi potranno gradualmente risalire se la ripresa europea continuerà come ci si attende ad irrobustirsi).

Pochi seguono l’esempio di Bridgewater

Al momento però sono pochi gli investitori che hanno seguito Bridgewater in questa scommessa al ribasso: secondo quanto segnala l’agenzia Bloomberg, Citadel risulta avere posizioni corte su titoli europei per poco meno di 2 miliardi di dollari, Reinassance Technologies per circa 42 milioni, Two Sigma Investments per poco meno. “Non è inusuale vedere forti economie accompagnate da prezzi delle azioni e di altri asset in calo” ha commentato Dalio in un post su LinkedIn questa settimana, aggiungendo.

Corto su Europa e Giappone, lungo sugli Usa

“La cosa sembra strana alle persone che si domandano perché le azioni scendano quando l’economia è forte e non capiscono come funziona questa dinamica”, ha aggiunto il gestore che secondo fonti citate da Bloomberg avrebbe nel frattempo deciso di andare “corto” anche di titoli giapponesi, aumentando invece la sua posizione “lunga” (ossia rialzista, ndr) sui titoli statunitensi a circa 13 miliardi di dollari (notare che siccome negli Stati Uniti, a differenza che in Europa, non esiste obbligo di dichiarare le proprie posizioni oltre certe percentuali, la posizione potrebbe essere di importo superiore).

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