La mutazione degli investimenti sostenibili

A cura di Giancarlo Sandrin, CFA, Presidente CFA Society Italy

Gli investimenti sostenibili stanno ottenendo un grande interesse da parte di tutti gli operatori, dagli emittenti agli asset manager, dai fondi pensione alle assicurazioni, passando per gli stessi regolatori. Anche noi come CFA Institute e CFA Society Italy stiamo seguendo da vicino questo cambiamento. Ma perché un investimento che sino a 10 anni fa era praticamente snobbato dall’industria oggi sta riscuotendo tale successo?

Una delle spinte più grandi probabilmente è stata data nel 2015 con il lancio degli UN Sustainable Development Goals (SDGs). Si tratta di 17 obiettivi che le Nazioni Unite puntano a raggiungere entro il 2030. Gli SDG concordati a livello globale non sono altro che un’articolazione delle questioni ambientali, sociali ed economiche più urgenti del mondo e, in quanto tali, costituiscono un elenco definito dei fattori ESG che dovrebbero essere presi in considerazione in fase di selezione degli investimenti.

Questa dichiarazione d’intenti ha reso trasparente il fatto che, per risolvere alcuni dei problemi più urgenti che il mondo sta affrontando, sia necessario l’intervento del settore privato. Alle società e agli investitori istituzionali viene quindi chiesto di contribuire agli SDG attraverso le loro attività commerciali, l’asset allocation e le decisioni di investimento.
Il dovere fiduciario che viene richiesto agli investitori professionali nell’agire nel migliore interesse dei beneficiari implica che vadano presi in considerazione non soltanto le classiche variabili finanziarie ma anche i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG).

A seguito di ciò, la Commissione europea ha richiesto alle EBAs (le autorità di vigilanza Europee su Banche, Assicurazioni e Mercati) di adottare all’interno dei propri regolamenti linee guida ESG. In questo ambito la commissione ha assegnato all’High-Level Expert Group (HLEG) on Sustainable Finance il compito di definire le linee guida, che sono state pubblicate a fine gennaio.

Se guardiamo alla parte degli Asset Manager vediamo che questi operatori dovranno garantire che le loro pratiche di governance, expertise e di stewardship tengono conto della sostenibilità, al fine di garantire il miglior risultato possibile per gli investimenti dei clienti. Ad esempio nell’utilizzo di analisi esterna dovrebbero tener conto di una ricerca che tenga in considerazione un mix di aspetti di crescita nel lungo termine, compresi temi ESG. Dovrebbero inoltre essere tenuti a stabilire una chiara comprensione delle preferenze dei loro clienti in materia di sostenibilità, governance e qualsiasi altro problema etico. Con la clientela istituzionale quindi si suggerisce che vengano richiesti eventuali vincoli in termini di sostenibilità, governance o etica. Ma le raccomandazioni si allargano alla stessa clientela retail, il comitato HLEG suggerisce che vengano forniti in maniera trasparente ai distributori e ai clienti le caratteristiche ESG dei prodotti, evidenziando le azioni volte a minimizzarne i rischi.

Un altro aspetto sul quale si sta lavorando è la tassonomia all’interno degli investimenti sostenibili. Ad oggi non è ancora stato definito un criterio completamente condiviso per classificare le attività di tipo sostenibile.
Come ricorda anche l’OCSE, questa mancanza di chiarezza, e in particolare il persistente sospetto che l’integrazione ESG sia motivata da preoccupazioni etiche o morali piuttosto che da preoccupazioni finanziarie, ha probabilmente ritardato l’integrazione dei fattori ESG nella governance degli investimenti. Questa difficoltà è aggravata dalla velocità con cui si stanno sviluppando nuove strategie di investimento ESG, rendendo più difficile per gli investitori istituzionali la selezione della strategia “giusta”. Basti pensare che ad oggi esistono criteri di:

· Screening: si escludono alcuni settori, come quello Tabacco, armi, alcool. Sono le più utilizzate anche perché oltre ad essere “semplici” sono tra le prime ad essere state create.
· General ESG integration: tra le più complesse perché le società vengono valutate anche sulla base di un punteggio ESG che riassume come la società vada a mitigare i cosiddetti rischi ESG. In questo caso è necessario avere un team di analisti interni oppure utilizzare una ricerca esterna
· Best-in-class: a differenza dello screening che esclude alcuni settori, queste non ne escludono nessuno, semplicemente prendono le società che meglio performano in termini di criteri ESG (Best-in-class)
· Investimenti tematici: si costruiscono dei temi d’investimento legati ad alcune tematiche ESG come i carbon free, water supply, ecc.

Un ulteriore approccio che può essere indipendente da quelli precedenti è relativo all’engagement, dove l’investitore istituzionale cerca di influenzare, tramite la propria quota, le decisioni aziendali al fine di renderle più vicine ai criteri ESG.

Le cose non si stanno muovendo però soltanto a livello Europeo, ricordiamo che In Italia la Consob, a gennaio di quest’anno, ha emanato per la prima volta un regolamento che norma la pubblicazione delle informazioni di carattere non finanziario (i c.d. bilanci di sostenibilità). È lecito quindi attendersi delle novità sull’intera catena produttiva del risparmio gestito, dai “manifacturer” come assicurazioni e asset manager, agli emittenti di titoli, finendo sui financial advisor.

Come accennato, anche noi come CFA Institute e CFA Society Italy stiamo impegnati in questo cambiamento, con varie iniziative e paper di approfondimento. In particolare ricordiamo che ad aprile in collaborazione con CFA Institute e PRI United Nation presenteremo in due convegni a Milano il 19 Aprile e a Roma il 20 Aprile, un risultato su come gli investitori Italiani vedono l’investimento ESG.

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