Sorprese in vista dalle banche centrali

Contenuto tratto da www.bluerating.com

L’inclusione delle analisi sulla condizione dei mercati finanziari nei modelli delle banche centrali, le difficoltà del settore finanziario a fronte di tassi reali negativi, dazi e disequilibrio nel mercato delle commodity rendono sempre più probabile un’inversione di tendenza nelle politiche delle banche centrali, ipotesi che il mercato non sta scontando.

INFLAZIONE INSIGHT – QE SUGLI ASSET FINANZIARI– I programmi espansivi delle banche centrali hanno portato inflazione sugli asset finanziari, ma non su quelli reali. Una ricerca di Deutsche Bank ha evidenziato come, dal gennaio 2009 a marzo 2018, in Germania i salari siano cresciuti del 17%, l’inflazione del 14% ed il Pil del 32%, rispetto ai più sostanziosi rialzi registrati dall’immobiliare domestico (+35%), dal Bund decennale (+49%) e dal Dax (151%). Con riferimento agli effetti del QE sugli asset finanziari è interessante osservare come sia stata maggiore la correlazione tra il bilancio della Fed e l’azionario statunitense, rispetto a quella presente con il rendimento del Treasury decennale.

I MODELLI DELLE BANCHE CENTRALI – Una delle motivazioni alla base della grande recessione è stata la miopia delle banche centrali le quali, all’interno dei rispettivi modelli, non hanno ricompreso parametri legati alla stabilità dei mercati finanziari, lasciando crescere la bolla creditizia subprime senza intervenire, a fronte del rispetto formale dei parametri di inflazione ed output. L’orientamento sta cambiando e le preoccupazioni legate alle elevate valutazioni degli asset finanziari hanno contribuito ai diversi rialzi dei tassi da parte della Fed, non sempre pienamente giustificati dai livelli di inflazione.

IL SETTORE FINANZIARIO – Una ricerca di Goldman Sachs ha evidenziato la marcata correlazione presente dal 2008 tra irripidimento della curva dei tassi e sovraperformance del comparto bancario. A fine marzo il differenziale tra Treasury decennale e biennale era ai minimi dal settembre 2007. In Germania tale valore è in rialzo dai minimi dell’agosto 2016, tuttavia a preoccupare la redditività degli intermediari è il differenziale tra Bund decennale ed inflazione europea (pari a 2,86 nel gennaio 1999 ed a 3,96 nel luglio 2009) costantemente negativo dal giugno 2016 (-0,82 al 15 marzo 2018).

TARGET 2% – Una ricerca di Oxford Economics sottolinea la chiara correlazione inversa presente tra età della popolazione ed inflazione. Il target del 2% di inflazione obbiettivo, non tenendo conto dell’effetto di invecchiamento della popolazione, potrebbe quindi risultare anacronistico. In riferimento all’effetto Amazon, Goldman Sachs ha calcolato che l’e-commerce, in questo decennio, ha abbassato l’inflazione solo dello 0,1%, metà di quanto l’aveva fatta scendere nel decennio precedente la diffusione degli ipermercati Walmart. Nonostante questo, il sistema di rilevazione dei prezzi su Internet, sviluppato da State Street in collaborazione con il MIT, quantifica negli ultimi mesi un’inflazione superiore a quella delle statistiche ufficiali (a marzo l’inflazione nell’Eurozona era pari all’1,4). Inoltre l’introduzione di dazi a livello internazionale, giustificata dalla necessità degli USA di difendere la filiera militare domestica e ridurre il disavanzo commerciale con la Cina (passato da una condizione di pareggio presente alla fine degli anni Ottanta, ad un deficit annuo di 6,3 miliardi di dollari nel 2000, agli attuali 34,6 miliardi) e il probabile gap nel medio e lungo termine tra domanda e offerta nel settore delle commodity, dovuto alla carenza di investimenti, porterà in maniera indiretta ad un inevitabile aumento dei prezzi.

SPREAD BTP/BUND – I tassi a breve sono definiti dai policy maker e quelli a lunga dai mercati. I primi in passato hanno puntato ad influenzare le aspettative degli operatori, mentre più di recente hanno supportato direttamente gli acquisti dei titoli per orientare i tassi. Come sopra citato, negli Usa le ripercussioni del QE si sono indirizzate prevalentemente sull’equity, al contrario nell’Eurozona si è concordi nel ritenere che l’intervento della Bce abbia avuto pienamente effetto sul mercato obbligazionario; a fine 2011 il rendimento del Btp decennale era del 7%, a fine 2013 era sceso al 4,098%, per calare a fine 2014 ulteriormente all’1,893%. Tuttavia, nonostante gli interventi della Bce, lo spread Btp/Bund non è più tornato ai livelli pre crisi; a fine 1999 era lo 0,27%, è rimasto costante fino al 31 dicembre 2007 quando era lo 0,195%, per salire al termine del 2011 al 5,18% e scendere all’attuale 1,2%. In pochi hanno quantificato gli effetti sullo spread derivanti da un cambio di politica da parte della Bce, tuttavia è facile ipotizzare un marcato rialzo dei rendimenti sui governativi italiani.

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