Unicredit soffre in borsa, pesano polemiche sui Cashes

Unicredit e la grana dei cashes

Giornata no per Unicredit che a Piazza Affari cede quasi il 3% contro un calo di poco superiore all’1,5% dell’indice Ftse Mib. A pesare sulla banca guidata da Jean-Pierre Mustier è la polemica sollevata dal fondo hedge “opportunista”, Caius Capital circa la classificazione come Core equity Tier 1 (CeT1) dei “Cashes” (Convertible and subordinated hybrid equity-linked securities), strumenti finanziari emessi nel 2009 per 3 miliardi di euro e convertibili a determinate condizioni entro il 2050.

Caius Capital all’attacco

Secondo il fondo lanciato da Antonio Batista e William Douglas per computare i Cashes nel CeT1, come finora fatto, tali strumenti avrebbero dovuto essere convertiti effettivamente in titoli azionari, ipotesi prevista tassativamente solo a certe condizioni, ad esempio se le quotazioni di Unicredit superassero il 150% del prezzo di esercizio (46,25 euro in termini rettificati). Così il fondo si è rivolto all’Eba contestando che i Cashes non dovrebbero essere inclusi nel CeT1, che non sono tra gli strumentri approvati dall’Eba stessa, che sono contemporaneamente conteggiati come CeT1 e come Tier 2 e infine che pongono limiti alla cancellazione del pagamento dei dividendi sui titoli azionari Unicredit.

Unicredit: autorità hanno sempre approvato

Per ora Unicredit fa spallucce e in una nota ha già sottolineato come il trattamento regolatorio dei Cashes sia stato puntualmente e pienamente illustrato al mercato, venndo “confermato e rivisto dalle autorità regolatorie competenti”. In ogni caso, aggiugono da Unicredit, il contributo dei Cashes alla posizione patrimoniale complessiva della banca sarebbe “non significativo” visto che le azioni sottostanti rappresentano ormai meno del 10% del capitale nominale a fronte di un CeT1 ratio salito al 13,6% a fine 2017.

Caius Capital ricorre all’Eba

Caius Capital tuttavia insiste e sostiene che i Cashes di fatto rendono non adatti i titoli Unicredit al calcolo del CeT1 dal 2011 e che dunque il Cet1 (pari a 48,9 miliardi di euro a fine 2017) andrebbe ridotto di circa due terzi a meno del 5% contro l’8,78% minimo richiesto attualmente alla banca dalla Bce. Visto anche che l’uso di strumenti ibridi di capitale si negli anni diffuso in tutta Europa appare improbabile che l’Eba dia ragione a Caius Capitale, ma l’eventuale conversione “forzosa” dei Cashes procurerebbe un danno agli investitori che li hanno in portafoglio, visto che al momento sono scambiati attorno al 75% del loro valore nominale e che a causa delle regole di conversione i detentori si ritroverebbero in mano azioni ordinarie Unicredit pari ad appena il 6% del valore nominale dei Cashes convertiti.

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