Usa-Cina, per Neuberger Berman le cose non sempre sono come sembrano

Scontro Usa-Cina, una diversa prospettiva

Negli Usa e in Europa si parla con sempre più insistenza di una guerra commerciale tra Usa e Cina, ma vista dalla Cina, con Trump che ha appena imposto dazi su altri 200 miliardi di beni importati dalla Cina e minaccia di applicare tariffe su tutto l’import cinese. Ma a Pechino si respira tutta un’altra atmosfera e i dazi non suscitano preoccupazioni, almeno secondo Bin Yu, Senior portfolio manager e Head of China equities per Neuberger Berman.

Solo 5% dei ricavi della società quotate cinesi viene dagli Usa

Yu nota come sia molto riduttivo descrivere il rapporto economico tra i due paesi utilizzando come unico parametro la bilancia commerciale, dato che così non si hanno molte informazioni su dove vengano iscritti a bilancio ricavi e utili, specie se si tratta di Cina e Stati Uniti. “Quanti marchi cinesi è in grado di citare un consumatore medio statunitense? Non molti. E un motivo c’è. I 500 miliardi di merci spedite dalla Cina verso gli Stati Uniti”, ricorda il gestore, non sono rappresentati da 10 milioni di smartphone Huawei: “la maggior parte degli analisti stima che solamente il 5% dei ricavi delle società quotate in borsa in Cina sia imputabile agli Stati Uniti”.

Inport in gran parte legato a società Usa in Cina

Inoltre, le società cinesi su cui si concentrano gli investitori azionari, quali Alibaba o Tencent o le banche cinesi, spesso non hanno alcuna esposizione diretta su tale mercato. “La maggior parte di quei 500 miliardi di dollari di beni importati viene prodotta da società statunitensi in Cina per i consumatori americani. Apple, da sola, importa ogni anno dalla Cina hardware per 50 miliardi di dollari”, mentre gran parte del resto sono “componenti elettronici e meccanici fabbricati da società taiwanesi, coreane o europee per le aziende statunitensi”.

Grandi corporation Usa molto esposte alla Cina

In compenso, un’eventuale rivolta dei consumatori cinesi contro i marchi americani potrebbe fare molto male: sempre Apple genera oltre il 25% dei propri utili (più di 18 miliardi di dollari l’anno) in Cina. “L’eventualità che i consumatori cinesi scelgano una Volkswagen piuttosto che una Buick, Chevrolet o Focus costituisce un rischio concreto per società come General Motors e Ford. Anche aziende come Nike o Starbucks, che generano rispettivamente il 24% e il 15% dei propri utili in Cina, potrebbero registrare una battuta d’arresto”.

Dazi di ritorsione causebbero danni a consumatori cinesi

D’altro canto, aggiunge l’esperto di Neuberger Berman, la maggior parte dei 130 miliardi di dollari di importazioni dagli Stati Uniti in Cina “è costituita da prodotti competitivi e di alta qualità che sono difficili da rimpiazzare”. Il governo cinese è consapevole del fatto che imponendo dazi su queste merci recherebbe danno solo alle aziende e ai consumatori nazionali. Questa tesi e il fatto che i dazi statunitensi non arrecano alcun danno diretto alle società cinesi sono gli argomenti che alimentano il dibattito interno sull’opportunità di eventuali ritorsioni. Chiaramente, conclude Yu, “gli orientamenti politici di un paese possono prevalere sui suoi interessi economici.

Sfida economica Usa-Cina andrà avanti oltre Trump

Se da un lato le aziende statunitensi sono direttamente più vulnerabili all’imposizione di dazi rispetto alle aziende cinesi, un’imposta del 10% su ciascun dollaro di importazioni dalla Cina avrebbe un impatto negativo considerevole sull’economia globale e sulla fiducia degli investitori”. Per ora si direbbe prevalga la tutela degli interessi personali, a più lungo termine “la progressiva affermazione dell’economia cinese come principale concorrente agli Stati Uniti rappresenta una sfida strategica indipendente da Trump e che continuerà oltre il suo mandato”. Così anche se sui dazi sono volate parole grosse, le società cinesi “continueranno a tenere lo stesso approccio commerciale e pragmatico”.

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