Investimenti Esg sotto la lente

Si parla di investimenti sostenibili, o ESG, quasi fossero una cosa diversa o addirittura avulsa dal mercato. Nel mondo ESG, c’è un’ampia varietà di strumenti alcuni dei quali sono talmente simili al mercato nella sua interezza che si fa fatica a capire quali siano le differenze. In questo scenario, ecco di seguito la view di Massimiliano Comità, portfolio manager di AISM Luxembourg.

Prendiamo come esempio l’Europa, dove il tema ESG e della sostenibilità in generale è molto più sviluppato; se guardiamo l’andamento negli ultimi due anni dello Stoxx 600 rispetto all’indice Stoxx 600 ESG non notiamo nessuna differenza di performance: delle azioni sottostanti l’indice generale, solo 15 sono escluse dall’universo ESG.

L’impennata degli investimenti verso i veicoli ESG ha obbligato ogni società a guardare attentamente ai fattori ambientali, sociali e di governance, per non essere esclusa dal portafoglio degli investitori.

Quello che solo un paio di anni fa chiamavamo un fondo europeo ESG si sta pian piano trasformando in un comune fondo europeo e lo si nota anche dalla moltitudine di veicoli esistenti che si ‘trasformano’ in veicoli ESG, cosa che fa pensare che non cambi in modo sostanziale la strategia di investimento.

È dunque questo che un investitore ha in mente quando si parla di sostenibilità? O il focus è su solare, eolico, idrogeno, elettrificazione, batterie, riciclaggio dei rifiuti, digitalizzazione, efficientamento degli edifici, trattamenti più equi dal punto di vista delle diversità di genere e appartenenza, etc.? Forse per meglio comprendere l’immaginario collettivo è ora di differenziare maggiormente quegli investimenti generalisti che incorporano i principi ESG e rientrano nei cosiddetti fondi art. 8 dai fondi più a impatto e riconosciuti come fondi art. 9, secondo la SFDR.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, si è parlato di un ritorno di fiamma degli investimenti sostenibili ma, come detto, lo Stoxx 600 ESG ha seguito fedelmente lo Stoxx 600. Anche indici più selettivi in termini di sostenibilità, quali MSCI Europe ESG Leaders, sono andati in linea con il più generico MSCI Europe, mentre un po’ diversa è stata la performance di uno di quegli indici considerati più stringenti sui criteri ESG, quale l’MSCI Europe SRI. Parliamo comunque di differenze molto contenute se paragonate a quei temi che ci aiuteranno a raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050, come, ad esempio, i titoli legati alle energie alternative, di cui lo S&P Clean Energy è un buon rappresentante.

  Performance

24 febbraio – 9 marzo 2022

MSCI Europe Index -4,12%
MSCI Europe ESG Leaders -3,66%
MSCI Europe SRI -1,84%
S&P Clean Energy 23,54%

Fonte: Bloomberg

Il tema delle energie alternative è il cuore della trasformazione energetica voluta dall’Europa, tornato prioritario con lo scoppio della guerra in Ucraina, proprio perché unico strumento a disposizione del nostro continente per ottenere l’indipendenza dal petrolio e dal gas russi e allo stesso tempo ridurre le emissioni di CO2. Ma non è l’unico tema. Altri settori, come il building renovation, non sono andati altrettanto bene nel periodo indicato in tabella. Di contro, si potrebbe dire che mentre le energie rinnovabili hanno visto un calo medio del 50% dal gennaio 2021 all’inizio del conflitto (misurato con la performance dello S&P Clean Energy), i titoli legati all’efficientamento energetico degli edifici ha vissuto un 2021 straordinario, con performance medie del 50%, grazie agli incentivi del Next Generation EU, che ha tra i propri scopi quello di triplicare le ristrutturazioni edilizie in Europa dall’1% al 3% annuo.

A oggi quella differenza enorme che si è registrata tra MSCI Europe e S&P Clean Energy si è quasi dimezzata, così come il 2022 ha visto il settore del building renovation calare del 25%. I motivi sono gli stessi che pesano su tutte le società in questo momento di mercati turbolenti: aumento del costo delle materie prime (energia in particolare), tassi in crescita, difficoltà di approvvigionamento dei materiali e conseguente posticipo dei progetti. E i multipli che si gonfiano per l’eccitamento delle riforme si sgonfiano per la paura dei sopracitati problemi.

Come abbiamo letto più volte, i fondi art. 8 e art. 9 sono veicoli che affrontano la trasformazione energetica dei prossimi decenni a due diverse velocità, ma i primi stanno rallentando sempre più rispetto a un mercato generico di riferimento che incorpora anch’esso sempre più i principi ESG, mentre i secondi continuano il loro corso, dipendente solo dai temi specifici in cui investono, che però non sempre salgono e scendono contemporaneamente.

Con il nuovo programma RepowerEU, emanato il 18 maggio, l’Europa continua a premere l’acceleratore sulla trasformazione energetica. Ulteriori 300 miliardi di investimenti, per aumentare i target già alzati in occasione del piano Fit for 55. Tre i punti principali, uno di breve termine (diversificare l’approvvigionamento di gas da altri fornitori), uno di medio (ulteriore spinta sulle rinnovabili), e uno che dipenderà dalle abitudini degli europei e dal loro modo di utilizzare l’energia in modo più accurato. Se i cittadini però non si ravvedranno con prontezza, la possibilità paventata da alcuni governi di razionare l’energia potrà dare un’ulteriore spinta a questo cambiamento.

Se con la strategia di breve periodo l’Europa pensa di ridurre di due terzi la dipendenza dalle fonti energetiche russe già entro fine anno, con il piano nel medio periodo si prefigge di arrivare alla completa indipendenza entro il 2027. Come? Solo per citarne alcune, alzando il target delle rinnovabili dal 40% al 45%, fissando la capacità di elettrolizzatori per l’idrogeno verde a 17.5GW entro il 2025 (al lancio del Green Deal il target di 6GW pareva già alto), con una maggiore efficienza energetica derivante dalle ristrutturazioni edilizie e l’elettrificazione del trasporto.

E per i vari ETF art. 8 che seguono gli indici generici è difficile cavalcare appieno tutte queste tematiche, quando i pure player di idrogeno e solare, per esempio, essendo imprese di piccola e media capitalizzazione, non compaiono nello Stoxx 600 ESG. Sì, ci sono ETF che seguono alcuni di questi temi, con la difficoltà aggiuntiva di gestire la volatilità di ciascuna strategia nelle varie fasi di mercato. L’alternativa è affidarsi a un fondo attivo che gestisca il tutto. Anche tra questi ovviamente ci saranno art. 8 e art. 9 con le loro varie tonalità di verde.

Secondo Morningstar, alla fine del 2021, meno del 5% dei fondi era classificato art. 9, mentre quelli art. 8 sono oramai una cospicua porzione: quasi il 40%, parte dei quali, come evidenziato in passato, derivanti da un aggiornamento dei prospetti di fondi già esistenti.

La scelta su dove puntare, su quale strumento e con quanta tonalità di verde, sta dunque all’investitore.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!