Investimenti: una lezione di pazienza dalla Cina

Sembra che investitori, aziende e policymaker di tutto il mondo stiano diventando sempre più impazienti di fronte alla lentezza della riapertura delle frontiere e alla politica “zero-Covid” in Cina. Oggi, di fronte a due fonti di incertezza – la politica zero-Covid e la guerra tra Russia e Ucraina – sembra che gli investitori siano più perplessi sulle potenziali soluzioni della prima che della seconda. In questo scenario, ecco di seguito la view di Polina Kurdyavko, Head of Emerging Markets, Senior Portfolio Manager di BlueBay.

Nel corso degli anni, ci siamo abituati al diverso ritmo decisionale della Cina, che ha spesso adottato un approccio misurato in situazioni di crisi. Questa volta, però, la pausa prolungata nell’elaborazione di una via d’uscita dalla politica zero-Covid rischia di avere un peso maggiore sull’economia e sulle prospettive di crescita futura rispetto al passato.

“In Occidente le persone si preoccupano più della loro libertà che di salvare delle vite, mentre in Cina ci preoccupiamo più della vita delle persone che della libertà”: questa è stata la risposta che un funzionario cinese ha fornito dando una spiegazione dell’attuale politica anti-COVID durante una conversazione recente. Sebbene valga la pena riflettere su questa profonda differenza di filosofia, nel mondo di oggi, diversi settori all’interno e all’esterno della Cina sono stati direttamente colpiti dalle politiche anti-COVID del Paese.

I continui lockdown sono deleteri per qualsiasi economia e la Cina non fa eccezione. Il lockdown di una città cinese può portare a un calo del 50% dei volumi di spedizione in entrata e in uscita da quella città durante quel periodo. Il 23% delle imprese europee (il numero più alto degli ultimi 10 anni) sta valutando la possibilità di trasferire le proprie attività fuori dalla Cina mentre esorta le autorità ad abbandonare le politiche di lockdown.

Settori come quello immobiliare hanno registrato livelli di stress senza precedenti. Dopo essere stato storicamente uno dei principali motori della crescita cinese, il settore ha subito un doppio colpo: una liquidità più rigida (dato il focus cinese sulla riduzione della leva finanziaria) e una domanda immobiliare molto più debole sulla scia della politica zero-Covid.

I volumi di vendita degli immobili sono scesi di oltre il 40% rispetto al picco di inizio pandemia. Il 52% del debito delle società del settore quotate in Borsa è andato in default negli ultimi 12 mesi e un altro 27% dovrebbe andare in default da qui a fine anno, secondo le stime di BoAML (Bank of America Merrill Lynch). I default sono stati quasi indiscriminati e hanno riguardato anche aziende investment grade di alta qualità.

La mancanza di una risposta politica rischia di trasformare un problema della liquidità in un problema di solvibilità per un settore strategicamente importante dell’economia cinese, e ciò ha implicazioni anche per altri settori. Le aziende iniziano a risentirne, con volumi di cemento e acciaio in calo rispettivamente del 12% e dell’8% su base annua nel primo trimestre del 2022.

Nelle ultime settimane, abbiamo intrapreso un progetto di verifica, rivisitando una serie di progetti immobiliari in Cina per valutare la situazione e le prospettive di recupero delle obbligazioni insolventi. Come previsto, la maggior parte degli sviluppatori continua a lavorare al completamento dei progetti esistenti. Tuttavia, l’attenzione è rivolta alla costruzione, non alla vendita. In alcuni casi, gli uffici commerciali sono stati chiusi o gli sviluppatori non avevano rappresentanti commerciali disponibili per mostrare le proprietà, a seguito di licenziamenti di massa che riguardano dal 20 all’80% del personale. Per alcuni sviluppatori, anche l’attività di costruzione si è fermata, poiché non sono riusciti a ottenere il sostegno dei governi locali per portare avanti i loro progetti.

Sebbene non sorprenda che l’attenzione del governo si sia concentrata sul completamento dei progetti esistenti, il problema dei flussi di cassa nel settore non è stato risolto e sta solo aumentando con il protrarsi dei lockdown. Eppure, finora, il governo cinese non sembra dare prova di un senso di urgenza nel fornire sostegno al settore o nel rivitalizzare la crescita economica seguendo il modello occidentale di uscita dalla pandemia.

Ironia della sorte, in passato i governi delle grandi economie orientate al mercato non hanno fornito soluzioni di mercato ma, temendo le conseguenze, hanno optato per i salvataggi (ad esempio gli Stati Uniti durante la crisi finanziaria globale del 2008 o la crisi europea del 2011). Si può affermare che la Cina è la prima grande economia che ha adottato un approccio di mercato per affrontare una crisi di questa portata. Tuttavia, questo approccio ha un costo.

Con un tasso di disoccupazione al 6,1%, la Cina è vicina al massimo degli ultimi 5 anni e con il settore immobiliare e delle costruzioni che rappresenta il 20% dell’occupazione urbana, questo tasso è destinato ad aumentare ulteriormente con l’attuale mix di politiche.

La Cina è stata probabilmente esemplare nell’affrontare la pandemia all’inizio, ma non si può dire lo stesso delle sue conseguenze ed è improbabile che le cose cambino fino al 20° Congresso del Partito nell’autunno del 2022.

Detto questo, non bisogna sottovalutare il costo dell’attesa. Finché le persone non saranno libere di muoversi all’interno e all’esterno del Paese, qualsiasi stimolo sarà probabilmente meno efficace. Ne consegue che le proiezioni di crescita a lungo termine saranno probabilmente significativamente inferiori all’attuale consenso, così come l’interesse degli investitori per il Paese.

Sebbene l’attenzione alle “vite rispetto alla libertà” sia comprensibile, durante una crisi la mancanza di una risposta politica può spesso creare ancora più squilibri e, in ultima analisi, innescare un aggiustamento molto più grande, dato che questo settore rappresenta un terzo del PIL cinese, il 35% delle entrate fiscali locali e il 28% dei prestiti delle banche in Cina. Senza contare che la ricchezza immobiliare rappresenta quasi l’80% di tutte le attività finanziarie cinesi (comprese le azioni e le obbligazioni), rendendo i consumi privati cinesi molto sensibili al calo dei prezzi delle case.

Solo due anni fa, i dati demografici e il trend di urbanizzazione della Cina garantivano una crescita del 7% dei volumi di vendita di immobili, data la continua crescita del tasso di urbanizzazione e la necessità di migliorare le abitazioni, nonché le limitate opportunità di investimento alternative. All’epoca, la domanda repressa di immobili si traduceva in un premio di prezzo del 20% sul mercato secondario rispetto al mercato primario, dove il governo aveva maggiore influenza. Il rilancio di questo trend dipende in larga misura dalle azioni e dalle priorità dei policymaker.

Un proverbio cinese dice che chi aspetta che un’anatra arrosto gli voli in bocca deve aspettare molto, molto a lungo. A questo punto, ci sembra di guardare la Cina con la bocca aperta, ma la pazienza degli investitori si esaurirà presto.

La mancanza di un’azione tempestiva da parte del governo può avere conseguenze a lungo termine. Tuttavia, il danno potenzialmente maggiore non riguarda i livelli di recupero per gli obbligazionisti e il futuro interesse degli investitori per la Cina, ma le aree che sono le principali priorità del governo, come la stabilità sociale, l’occupazione e la prosperità.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!