Investimenti: in Italia serve un fondo sovrano per svegliare i risparmi dormienti

Secondo i dati della Banca d’Italia, a luglio scorso i deposi in conto corrente erano pari a 1.500 miliardi circa (quasi come l’intero PIL Italiano). Se i denari rimangono improduttivi non fanno “girare l’economia”, non creano posti di lavoro, non creano ricchezza e non fanno crescere la nazione.

L’Italia, come noto, è uno dei Paesi con maggiore tasso di risparmio al mondo. Risparmio vuol dire rinuncia a consumi attuali per consumi futuri. Già, ma futuri quando. Se il risparmio continua a crescere (pure negli ultimi due anni con il Covid) si rinuncia a consumare oggi per consumare domani.

Rinviare i consumi oggi, significa ridurre la domanda di beni e servizi che tende così a diminuire. Le imprese sono costrette a ridurre la produzione e/o a ridurre i costi (in primis quelli del lavoro) per mantenere invariati i profitti.

Alternativamente, è possibile ridurre gli investimenti (a svantaggio però della qualità dei prodotti) al fine di assicurare la propria economia sopravvivenza.

Nel frattempo però il resto del mondo investe, corre e aumenta la qualità di propri prodotti e servizi. Tempo una generazione e sei fuori dal mercato. In sintesi, ma è proprio quello che è successo all’Italia negli ultimi 40 anni. In sistema bancario ha sostenuto le imprese finché ha potuto, ma la regolamentazione molto stretta dopo la crisi finanziaria dei subprime (le varie Basilea) unita a criteri contabili molto stringenti, consentono sempre meno alle banche di accompagnare le imprese nello sviluppo degli investimenti.

Per contro, il sistema finanziario non è si è rivelato all’altezza del sistema economico Paese. A differenza degli altri Paesi, la Borsa Italiana non rappresenta la forza della nostra economia (solo Apple capitalizza più di tre volte l’intera Piazza Affari). Sia perché tante imprese non scelgono la via della quotazione per reperire risorse finanziarie per fare gli investimenti necessari alla crescita, sia perché gli imprenditori sono ancora troppo arroccati su posizioni campanilistiche e padronali, sia perché il sistema finanziario è ancora troppo bancocentrico (e da qui arriva la sua fragilità).

Diversi sono stati gli sforzi legislativi per favorire un’economia di mercato, ma tutti poco organici. Non si è mai messo seriamente mano all’intera disciplina che governa il risparmio (tutelato dalla Costituzione, art. 47) e gli investimenti, con il risultato che le imprese e soprattutto gli investitori si sono allontanati e si allontano tutt’ora dalla Borsa: secondo uno studio della Banca d’Italia tra il 2007 e il 2019 il 60% delle OPA ha riguardato il delisting (il 90% nel 2019). E’ recente la semplificazione delle regole che consentono alle imprese di quotarsi. Vedremo.

Quello che occorre è sforzo comune per avvicinare il mondo del risparmio e quello dell’investimento, perché con le sole forze messe in campo dall’Europa (leggi PNRR) il Paese, che ricordiamolo ha un rapporto debito/PIL nell’intorno del 145%, difficilmente riuscirà a fare tutti gli investimenti necessari per raggiungere la crescita potenziale e sostenibile del PIL, che si aggira intorno al 2-2,5%.

Negli ultimi mesi abbiamo visto l’Italia ritrovare la credibilità internazionale perduta e abbiamo visto gli investimenti esteri tornare nel nostro Paese. La crescita delle quotazioni soprattutto nel mercato Euronext Growth Milano nel 2021 ne è il termometro. Ma già quest’anno siamo più indietro rispetto allo scorso anno. La strada da fare è però ancora lunga, ma la direzione è quella giusta. A questo aggiungiamo che il nostro indice di Borsa è a metà strada circa dai massimi di lungo termine, mentre quelli di tutti gli altri Paesi industrializzati nel 2021 hanno aggiornato i rispettivi massimi.

Dobbiamo poter smuovere la massa di denaro dormiente sui conti correnti e favorire un flusso di investimenti privati all’economia reale.

In che modo? Per esempio costituendo un “Fondo Sovrano” misto pubblico/privato (non si capisce perché lo abbia la Norvegia e l’Italia che vanta il tasso di risparmio maggiore del mondo, non riesca a strutturalo) o ancora favorendo la costituzione di campioni mondiali in diversi settori produttivi (sul modello francese per intenderci).

Gli oltre 220 miliardi del PNRR aiutano, ma occorre che siano indirizzati correttamente verso progetti in grado di favorire una crescita del PIL sostenibile e in questo modo creare ricchezza.

I tempi e i modi li conosciamo, le risorse e la fantasia non ci mancano. Occorre la volontà di farlo. La speranza è che il nuovo Governo metta seriamente mano alle riforme che l’Italia attende da tempo.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!