Asset allocation: ecco perchè preferire i mercati emergenti

Il 2022 è stato l’anno peggiore per i titoli sovrani dei Mercati Emergenti (EM), con un calo del 23,9% al 30 settembre. In particolare, è stato l’anno peggiore sia per i titoli EM investment grade (23,7%) che per i titoli sovrani high yield (24,2%). Ad esempio, su base annua, i Treasury americani a 30 anni sono scesi del 31,5%, quelli a 10 anni sono scesi del 16,8% e il debito societario americano investment grade è sceso del 18,3%.

Si tratta dei ritorni più negativi degli ultimi 30 anni per queste asset class, che riflettono sia l’impatto dell’aumento dei tassi statunitensi sia una crescita globale più debole del previsto. Questo sentiment negativo si è riflesso nei flussi, con circa 67 miliardi di dollari di deflussi nel corso di quest’anno (circa 10 miliardi di dollari nel solo mese di settembre) e un’attività di nuove emissioni storicamente bassa, con emissioni lorde sovrane e societarie in calo di oltre il 50% su base annua.

La domanda che ci si pone è: dove andremo a finire? Ecco di seguito la view di Anisha A. Goodly, Managing Director Emerging Markets e Portfolio Specialist presso Tcw

È difficile prevedere con chiarezza la direzione dei mercati nei prossimi tre-sei mesi, soprattutto perché persistono incertezze economiche e rischi geopolitici. Sebbene gli Stati Uniti prevedano un’inflazione al di sotto del 2% su un periodo di un anno, questo calo sembra essere guidato in parte dalle preoccupazioni per la crescita. La volatilità dei Treasury statunitensi è schizzata a livelli visti per breve tempo nel 2020 e, prima di allora, non accadeva dalla Crisi Finanziaria Globale del 2008. Una riduzione dell’inflazione, seguita da una maggiore chiarezza sul punto di arrivo del tasso terminale e sul percorso seguito dalla Fed per raggiungerlo, contribuirà a eliminare uno dei principali ostacoli che affliggono gli asset di rischio, a nostro avviso. Per essere chiari, questa riduzione dell’incertezza potrebbe richiedere ancora qualche mese per concretizzarsi, ma riteniamo che questo processo coinciderà con un bottoming della performance degli asset di rischio, compreso il credito emergente.

Per quanto riguarda i fondamentali, quest’anno i tassi di crescita economica hanno subito una rapida correzione al ribasso a causa dell’inasprimento delle condizioni finanziarie globali, del consolidamento fiscale, della guerra tra Russia e Ucraina, della politica zero-COVID della Cina e della flessione del settore immobiliare. I dati recenti confermano la nostra valutazione secondo cui l’economia cinese ha probabilmente toccato il fondo nel secondo trimestre del 2022 e prevediamo un miglioramento per il 2023, pur riconoscendo il potenziale di ulteriori ribassi a causa delle sfide nel settore immobiliare, del perdurare delle politiche zero-COVID e dell’indebolimento delle esportazioni. Poiché la Cina è il principale partner commerciale della maggior parte delle economie asiatiche, ciò costituirà un freno alla loro crescita, anche se le loro economie nazionali beneficeranno del superamento dei lockdown legati al COVID. L’America Latina sta rallentando rispetto ai tassi di crescita insostenibili registrati nella ripresa post-pandemia, ma riteniamo che la maggior parte delle maggiori economie della regione eviterà la recessione il prossimo anno. La crescita sta rallentando anche in Africa, dove l’attività delle due maggiori economie della regione (Sudafrica e Nigeria) è stata frenata dalle strozzature energetiche interne. Infine, la regione CEE dovrebbe crescere più lentamente nel 2023 rispetto al 2022, a causa dell’inflazione elevata e della crisi energetica europea. Tuttavia, i differenziali di crescita economica continuano a favorire gli EM rispetto ai mercati sviluppati (DM) e si prevede che questo differenziale di crescita tra EM e DM aumenti nel 2023.

Nel complesso, i fondamentali dei titoli di Stato degli emergenti sono peggiorati negli ultimi tre anni: hanno rating più bassi, i rapporti debito/PIL e i disavanzi fiscali sono più alti, i livelli delle riserve valutarie sono leggermente più bassi (anche se in molti casi ancora piuttosto solidi), le partite correnti sono meno equilibrate e le differenze tra sovrani ben gestiti e mal gestiti sono diventate più acute. Le economie a basso reddito, in particolare, hanno subito l’impatto negativo degli shock energetici e alimentari, che si è riflesso sui prezzi delle obbligazioni. Le valute degli EM sono inoltre notevolmente più deboli in aggregato rispetto al 2019, il che ha reso il debito estero più costoso da servire, soprattutto per le entità con rating più basso, e allo stesso tempo ha reso le esportazioni degli EM più competitive a livello globale. È importante notare che molte banche centrali degli EM hanno anche dimostrato devozione all’ortodossia monetaria dal 2019, evitando in larga misura il Quantitative Easing durante la pandemia e poi, nel 2021, muovendosi in modo più preventivo rispetto alle banche centrali del G10 per combattere le pressioni inflazionistiche globali. Alcuni cicli di inasprimento degli EM sono ormai conclusi o si stanno avvicinando ai loro livelli di tassi terminali, anche se la maggior parte delle banche centrali del G10 rimane orientata all’inasprimento.

I bilanci societari degli EM sembrano essere nella posizione più solida dell’ultimo decennio (leva netta più bassa dal primo trimestre 2012 e leva lorda più bassa dal quarto trimestre 2013).

Gli spread sovrani EM hanno chiuso il trimestre a circa 560 punti base, che rappresentano il 93° percentile dal 2002 (cioè gli spread sovrani hanno scambiato a questi livelli o a livelli superiori solo nel 7% di tutti i giorni di negoziazione degli ultimi vent’anni). Nello stesso arco temporale, gli spread sovrani EM si sono mediamente ristretti di 200 punti base nei sei mesi successivi, se ai livelli attuali o più ampi, e si sono ristretti di circa 300 punti base in media da questi livelli guardando a 12 mesi. Vediamo un valore negli spread sovrani EM High Yield, che ad oggi sono più ampi di oltre 300 punti base, a testimonianza delle sfide che devono affrontare in particolare le economie di frontiera. Circa il 36% delle obbligazioni dell’indice sovrano EM ha un prezzo inferiore a 80 dollari, contro il 3% del 2019. Tuttavia, per aggiungere rischio, siamo alla ricerca di segnali di riduzione dell’inflazione americana, di un calo della volatilità dei tassi statunitensi e di un calo delle aspettative di crescita globale. Riteniamo che nei prossimi mesi, con la pubblicazione di ulteriori dati, avremo un quadro più chiaro delle opportunità nel 2023 e che emergeranno migliori punti di ingresso.

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