Asset allocation, emergenti: l’India incalza la Cina

“La pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza i rischi delle catene di approvvigionamento lunghe e deboli così come dell’approccio “just in time” alla manifattura, basato sul predominio della Cina come hub produttivo mondiale. Tuttavia i continui e draconiani lockdown di Pechino hanno fatto nascere la necessità di un’alternativa. L’India è il candidato chiave per ricoprire questo ruolo in un approccio che è stato soprannominato Cina Plus One“. Parola di Nick Payne, lead investment manager del team Jupiter Global Emerging Markets, che di seguito illustra nei particolari la view.

L’inevitabile ascesa dell’India

Per certi versi, il movimento di capitali e investimenti dalla Cina all’India è sembrato inevitabile. Alle tensioni tra il nazionalismo cinese e quello americano si è aggiunta la guerra in Ucraina e le esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan. L’India, in quanto democrazia, ha accresciuto la sua attrattiva, grazie anche alla propria base di conoscenze e ai vantaggi demografici.

Sullo sfondo delle attuali tensioni geopolitiche, per le aziende occidentali non è mai stato così importante creare catene di approvvigionamento alternative, soprattutto in Paesi “amici”. Apple, ad esempio, ha recentemente annunciato che produrrà l’iPhone 14 in India, con l’intenzione di realizzare il 25% dei suoi dispositivi fuori dalla Cina entro il 2025. Anche l’India ha corteggiato le aziende manifatturiere affinché si insediassero nel Paese, offrendo incentivi per la creazione di stabilimenti produttivi.

La spinta all’autosufficienza della Cina

Ci aspettiamo che in Cina le autorità alimentino il nazionalismo. Più di 150 miliardi di dollari, ad esempio, sono stati spesi per accelerare l’industria cinese dei chip, mentre il 14° “Piano quinquennale” del 2021 definisce nel dettaglio i quattro pilastri della Cina per una maggiore autosufficienza. Inoltre, il regime cinese è perfettamente consapevole del fatto che l’arma del dollaro americano attraverso il regime di sanzioni degli Stati Uniti lascia il Paese a rischio di essere escluso dai pagamenti internazionali; contando che la Cina fattura quasi il 75% dei suoi crediti in dollari, la prospettiva è spaventosa.

Mentre Pechino si ripiega verso l’interno, l’India ha colto al volo l’opportunità “China Plus One”, annunciando la campagna “Make in India” per attrarre investimenti. I 10 miliardi di dollari di incentivi per la produzione di chip, ad esempio, hanno attirato l’interesse di aziende da Singapore a Israele. Quanto più dureranno i lockdown cinesi e quanto più denaro verrà investito in India, tanto più è probabile che il Paese ne beneficerà a lungo termine.

È già successo in passato

In passato abbiamo assistito a cambiamenti nelle basi produttive globali. In primo luogo con il Giappone, quando è diventato una potenza manifatturiera nella seconda metà del XX secolo, e più recentemente con l’ascesa delle tigri asiatiche Singapore, Taiwan e Corea. Sebbene i fattori di costo fossero probabilmente più prevalenti, il passaggio a questi hub è stato eseguito senza grandi clamori. Tuttavia, nessuno era così centrale per la produzione globale come la Cina.

La transizione verso l’India potrebbe portare a uno scenario in cui il mondo manterrà per un certo periodo due hub produttivi chiave, l’India e la Cina. Nonostante i cambiamenti significativi nel regime globale, l’attuale economia della globalizzazione impone che alla fine vinca il polo produttivo più economico, in questo caso l’India.  Anche i prossimi cambiamenti demografici dell’India – giovane, in via di urbanizzazione e con un’elevata mobilità – rispetto alla Cina – più anziana, urbanizzata e con una classe media sviluppata – supportano un inevitabile spostamento a favore dell’India.

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