Asset allocation, Cina: azioni con margini ancora interessanti

“Gli investitori globali stavano già riducendo gli investimenti cinesi prima del Congresso nazionale del Partito Comunista a causa della crisi immobiliare, della politica di tolleranza zero del Covid e delle sanzioni imposte da Stati Uniti ed Europa sul settore tecnologico. Tuttavia, l’aggressiva presa di potere da parte di Xi Jinping, l’elezione di stretti collaboratori e l’assenza di un erede nella formazione hanno bloccato gli investitori globali. Ciò ha provocato una forte vendita dei titoli cinesi. Continuiamo tuttavia a ritenere interessanti le valutazioni delle azioni cinesi”. È l’analisi di Marcel Zimmermann, gestore del fondo Lemanik Asian Opportunity di Lemanik.

I mercati internazionali hanno iniziato a disinvestire dai titoli cinesi prima del Congresso e questo ha portato il rapporto intrinseco tra capitalizzazione e patrimonio netto dell’indice Hang Seng China Enterprise a raggiungere un nuovo minimo da oltre 20 anni. La capitalizzazione è scesa ad appena 0,545 volte il patrimonio a fine ottobre, contro un massimo di oltre 5 volte durante la bolla sul mercato cinese nel 2007. Riteniamo tuttavia che l’importanza dell’economia cinese in un contesto globale – sia per quanto riguarda l’esportazione che per il suo mercato interno – continuerà a giustificare l’investimento nel mercato azionario del Paese, nonostante sia attualmente soggetto a un momentaneo sottopeso.

Il mese di ottobre è stato dominato dall’esito del 20° Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese. Xi Jinping ha consolidato ulteriormente il suo potere nominando i suoi fedelissimi collaboratori nel Comitato permanente del Politburo, il massimo organo di governo in Cina.

Sono state inoltre allontanate le figure moderate. Già nel 2018 Xi aveva abbandonato il limite massimo di due mandati presidenziali quinquennali, introdotto dal grande riformatore Deng Xiaoping per limitare il culto personale di Mao Zedong.

Il Congresso della Nccp ha fatto passare quindi in secondo piano il sentiment generalmente positivo che si era diffuso durante il mese di ottobre, con i mercati azionari giapponese, coreano e indonesiano che avevano registrato un rendimento positivo. La Banca del Giappone è intervenuta per il secondo mese sui mercati valutari con 42,8 miliardi di dollari per far salire il valore dello yen.

“Nel nostro portafoglio, abbiamo mantenuto una copertura totale sulla nostra esposizione allo yen, ma stiamo osservando attentamente l’eventuale inversione di tendenza del dollaro Usa”, spiega Zimmermann. “Abbiamo aumentato la ponderazione del fondo verso la Corea del Sud, il Giappone, le Filippine e la Thailandia, ma abbiamo preso profitto in Indonesia e ridotto ulteriormente l’esposizione alla Cina. Continuiamo comunque a ritenere interessanti le valutazioni delle azioni cinesi, ma attendiamo segnali tecnici, politici e/o economici più forti per aumentare il nostro peso”.

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