Investimenti, criptovalute: ecco le conseguenze del crollo

La correzione dei mercati finanziari di quest’anno non ha risparmiato nemmeno un’area controversa come le criptovalute, che infatti hanno sofferto più delle altre asset class. Dai massimi dell’ultimo anno Bitcoin e Ethereum, le più affermate, hanno perso oltre il 70% del proprio valore; le altre tra il 60% e l’80%. Correzioni altrettanto ampie si osservano per le piattaforme digitali quotate che si erano specializzate negli scambi di questi strumenti.

In questo scenario, ecco di seguito la view di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy.

Le critiche a questo mondo non sono mai mancate: già nel 2018 il celebre investitore Warren Buffett, presidente di Berkshire Hathaway, aveva pronosticato che «avrebbero fatto una brutta fine». Lo scorso anno la Cina ne aveva vietato il trading, nonostante il suo impegno nel campo del blockchain, la tecnologia che ne è alla base.

Non avendo corso legale e non utilizzando la terminologia tipica dell’attività bancaria (per esempio, evitando di utilizzare la parola «deposito» per la custodia di criptovalute), gli operatori del settore non sono stati sottoposti alla regolamentazione bancaria. Tuttavia, più di recente c’è stata una crescente attenzione che ha portato anche all’emergere di alcuni casi ormai di dominio pubblico.

Il cedimento delle valutazioni ha messo in crisi alcune argomentazioni degli investitori in questi asset speculativi. Il primo assunto era che avrebbero offerto maggiore diversificazione rispetto ad altri investimenti come, ad esempio, il mercato azionario. Una seconda argomentazione riguardava la presunta natura di «oro digitale» disponibile in quantitativi limitati. In effetti, se fossero valute tradizionali si parlerebbe di iperinflazione. Ma non rivestono il ruolo di una vera valuta se si prende come riferimento l’utilizzo diffuso per l’acquisto di beni e servizi o la stabilità intesa come riserva di valore.

Da parte nostra, continuiamo a considerare le criptovalute come strumenti altamente speculativi che non dovrebbero far parte delle asset allocation strategiche degli investitori.

Occorre chiedersi se ciò possa avere effetti economici. Se si registrano perdite di valore diffuse, come in occasione di una correzione della borsa, ci sono ricadute economiche di due ordini. Da un lato per questioni pratiche, dato che alcuni investitori potrebbero aver fatto affidamento su valori maggiori per finanziare il proprio stile di vita; dall’altro per una questione di fiducia nell’economia: se questa manca, aumenta la propensione al risparmio e diminuiscono i consumi.

La Banca dei regolamenti internazionali ha di recente analizzato i flussi sul Bitcoin e concluso che tra il 70% e l’80% degli acquirenti ha subito perdite. Inoltre, la stessa analisi ha ricostruito che circa il 40% dei detentori di questi strumenti ha un’età inferiore ai 35 anni: statisticamente una fascia di popolazione che rappresenta una fetta meno che proporzionale dei consumi. La scarsa diffusione delle criptovalute e la bassa età media dei detentori suggeriscono che la correzione non dovrebbe avere impatti economici significativi.

La bolla e la successiva caduta non significano comunque che non ci siano elementi interessanti nella tecnologia sottostante, il blockchain, che può essere applicata in molti altri settori. Questa tecnologia si basa sulla registrazione simultanea di operazioni su molteplici terminali per garantire la sicurezza in assenza di un sistema centralizzato.

Il limite di questa tecnologia è l’elevato consumo di energia, che la rende quindi meno vantaggiosa per il sistema dei pagamenti, che deve gestire una massa enorme di operazioni. Quindi, in una fase di tensione sul fronte energetico, il crollo delle criptovalute potrebbe almeno liberare un po’ di risorse da impiegare in altre attività produttive.

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