Investimenti, parola d’ordine: moderazione

“L’intervento aggressivo della BCE a dicembre ha riportato i mercati con i piedi per terra: la strada per una normalizzazione delle politiche monetarie, soprattutto in Area Euro, è ancora lunga. Per questo consigliamo un atteggiamento prudente sia sui mercati obbligazionari che su quelli azionari, pur monitorando con attenzione eventuali opportunità a livello settoriale o geografico, come quelle che si profilano in Cina“. Lo affermano gli esperti di Anima, che di seguito illustrano nel dettaglio la view.

Se quello appena chiuso è stato, per i mercati finanziari, un anno di eccezionale complessità, il 2023 si apre all’insegna di un concetto-chiave che potrebbe accompagnarci per diversi mesi a venire: quello di moderazione.

A livello macro le attese restano quelle di un rallentamento della crescita e dell’inflazione ma in alcune regioni – come l’Europa – questo processo sembra preannunciarsi meno rapido e lineare.

Le Banche centrali sembrano decise a non rinunciare alla linea hawkish prima di aver colto successi significativi nella lotta all’inflazione: dopo il rally di metà autunno, che aveva portato un po’ di sollievo agli investitori, l’intervento aggressivo della BCE nel meeting di dicembre ha costretto i mercati a rivedere le previsioni sul ciclo di rialzi dei tassi e ci ha indotti ad adottare un approccio tatticamente più prudente nell’orientamento dei portafogli. Il primo trimestre potrebbe porre diverse sfide, che non escludono però la possibilità di cogliere opportunità a livello geografico o settoriale.

La view a breve termine è cauta per quanto riguarda i bond dell’Area Euro e l’azionario, fatta eccezione per Cina e Paesi emergenti, mentre resta neutrale sui Treasury e sul debito emergente in valuta forte. Del resto, così come durante il recupero dei mercati di novembre era necessario evitare entusiasmi troppo facili, oggi è consigliabile non offrire visioni negative eccessivamente forti: la visibilità a breve è limitata e la via migliore da seguire, per ora, è quella mediana. Crescita. Il 2023 si preannuncia come un anno segnato da crescita debole, inflazione in calo e Banche centrali riluttanti ad adottare un approccio più morbido.

La prospettiva su scala globale resta quella di un indebolimento pronunciato nei Paesi sviluppati, e di una ripresa in Cina. Per contro, i principali rischi sono rappresentati da un’imprevista resilienza dell’attività economica, che potrebbe costringere la Fed mantenere a una linea dura più a lungo, e da una marcia indietro nell’allentamento della Zero-Covid Policy in Cina.

Negli Stati Uniti diversi fattori segnalano la perdurante solidità della domanda interna, dall’aumento della spesa personale in termini reali (il maggiore da gennaio) alla crescita della fiducia delle imprese di servizi a novembre, superiore alle attese. Inoltre, gli ordini di beni durevoli e non durevoli sono rimasti consistenti e la quantità di arretrati da smaltire lascia pensare che lo saranno anche nel prossimo futuro. I consumi delle famiglie restano poi supportati da un significativo stock di risparmi in eccesso, standard creditizi accomodanti e un mercato del lavoro ancora molto tonico.

Tuttavia, le nubi all’orizzonte si addensano: il numero dei licenziamenti è in forte ascesa e il deficit commerciale si è ampliato in modo sostanziale a ottobre per il duplice contributo del calo delle esportazioni e dell’aumento delle importazioni.

In Area Euro si registrano segnali contrastanti. Le famiglie continuano a spendere grazie a risparmi e stimoli fiscali, ma fra non molto il calo dei compensi in termini reali inizierà a lasciare il segno. Si accumulano inoltre gli indizi di un rallentamento: gli ultimi dati su vendite al dettaglio e spesa per beni manifatturieri in Francia sono stati deboli e la produzione industriale è salita solo grazie al contributo dell’Irlanda – dove si è registrata un’impennata della spesa per prodotti di proprietà intellettuale – e dei settori non energivori. Ciò detto, i dati sulla fiducia di consumatori e imprese, benché ancora a livello coerenti con una contrazione dell’attività economica, non sono più in caduta libera e confermano le nostre attese di una recessione non profonda.

Inflazione. Per quanto riguarda l’inflazione, restiamo convinti che il picco sia stato registrato nel terzo trimestre negli Stati Uniti e sia in corso in Area Euro. Nel 2023 dovrebbero emergere diffuse pressioni al ribasso: secondo le nostre stime, l’inflazione rallenterà da 8,0% a 3,5% negli Stati Uniti e da 8,4% a 5,4% in Area Euro, sulla scorta del pass-through (cioè dalla trasmissione) dello shock sui prezzi di gas ed elettricità. In Cina, le tendenze disinflazionistiche saranno arginate dal processo di riapertura dell’economia. Negli Stati Uniti il dato sull’inflazione relativo al mese di novembre è stato più debole del previsto, ma solo energia e beni di base hanno imboccato un chiaro trend ribassista, mentre i prezzi di affitti, servizi di base e prodotti alimentari potrebbero restare volatili nel breve termine. In particolare, l’inflazione sui servizi legati al settore residenziale, cruciale per la dinamica dell’inflazione core sui servizi, è risalita a novembre, dopo la discesa di ottobre; restiamo persuasi che nel primo trimestre si toccherà un picco, per poi imboccare un protratto trend ribassista.

In Area Euro, il primo calo dell’inflazione in 17 mesi conferma che il picco per l’indice headline è alle spalle. Il contributo dell’energia è stato cruciale in tal senso, mentre sui costi del cibo si registra una divergenza fra prezzi dei prodotti freschi e trasformati. L’inflazione core – cioè quella “depurata” delle componenti di costo più volatili come energetici e alimentare – si conferma invece vischiosa sia per quanto riguarda i beni che i servizi: nei prossimi mesi si potrebbe assistere a una nuova accelerazione, a causa della scadenza di vari incentivi fiscali, della stagionalità potenzialmente forte – ovvero, della tendenza di alcune categorie di prezzi a registrare pressioni al rialzo in questa fase dell’anno – su varie tipologie di beni e servizi e del ribilanciamento del paniere previsto a febbraio. I prezzi dei beni core, in particolare, restano supportati da domanda e pressioni a monte, per quanto in graduale allentamento; i costi dei servizi sono sostenuti dalla spesa per attività ricreative e cura personale e dal pass-through dell’impennata dei prezzi di gas ed elettricità.

In Cina il governo sta accelerando lo smantellamento della Zero-Covid Policy e dopo Natale è stata annunciata la sospensione della quarantena per i viaggiatori a partire dall’8 gennaio. Inoltre le campagne vaccinali hanno preso slancio e i dati sull’efficacia dei vaccini sono incoraggianti. Nel breve periodo, però, i dati sull’attività economica si stanno deteriorando più del previsto e il contributo delle esportazioni è in forte calo per l’indebolimento della domanda estera. In questo contesto abbiamo rivisto al ribasso le stime sulla crescita del quarto trimestre, e al rialzo quelle per il 2023. Sul fronte dell’inflazione, le spinte disinflazionistiche saranno arginate dall’accelerazione ciclica. Banche centrali. Per quanto riguarda le politiche monetarie, nella riunione di dicembre la Fed è stata più aggressiva del previsto, a conferma della volontà di orientarsi verso un plateau, prima che verso un pivot. La proiezione sul livello dei Fed Funds a fine 2023 è stata alzata di 50 punti base (in linea con le nostre stime, ma 25 punti base sopra quelle di mercato) e Powell ha ribadito che servono ulteriori, sostanziali evidenze che l’inflazione si stia dirigendo verso il target: un cambio di rotta è ancora lontano (secondo il nostro scenario base esso avverrà nel secondo trimestre). Ci aspettiamo che i tassi salgano di altri 75 punti base nel 2023, raggiungendo quota 5-5,25%, e che la Fed avvii un ciclo di tagli nel secondo semestre, se i dati su crescita e salari lo consentiranno.

La BCE è stata eccezionalmente aggressiva. A dicembre ha dichiarato che i tassi dovranno salire ancora, in misura significativa e costante. In aggiunta, ha annunciato a sorpresa il Quantitative tightening (QT), dichiarando esplicitamente che le aspettative degli investitori sono troppo conservative e sostenuto che la recessione sarà lieve, insufficiente ad allentare le pressioni inflazionistiche come necessario. In base alle informazioni oggi disponibili, ci aspettiamo che la BCE continui ad alzare i tassi fino al terzo trimestre; elaborare stime puntuali è molto difficile, ma non si può escludere che il tasso di deposito possa spingersi fin sopra il 4%, se l’economia dovesse reggere meglio del previsto e l’inflazione sui servizi rivelarsi vischiosa. Episodi di instabilità finanziaria potrebbero limitare la stretta, ma il supporto potrebbe essere temporaneo e non coinvolgere la leva dei tassi; le pur probabili pressioni politiche, anche da parte del governo italiano, potrebbero non bastare a mitigare la determinazione di Lagarde.

In Cina, la debolezza dei dati su inflazione e crescita apre le porte a un ammorbidimento dell’approccio della Banca Popolare Cinese: ci aspettiamo un ultimo taglio del coefficiente di riserva obbligatoria durante l’inverno e misure di supporto ai settori più in difficoltà. Con il progressivo miglioramento del ciclo economico la stance diventerà neutrale/leggermente restrittiva.

In questo contesto, l’asset allocation subisce alcune revisioni. In particolare, restiamo tatticamente neutrali e strategicamente costruttivi sui Treasury, visto il contesto di rallentamento di crescita e inflazione, e l’equilibrio favorevole fra domanda e offerta. Riduciamo invece l’esposizione ai titoli di Stato europei, sui quali nel breve termine raccomandiamo cautela, per le possibili pressioni derivanti dall’aumento del livello terminale del tasso di deposito prezzato dai mercati e dagli effetti del QT sull’offerta netta. La stessa indicazione vale per i BTP. La view sui mercati azionari torna tatticamente negativa: nelle prossime settimane, la revisione al ribasso delle stime sulla crescita degli utili provocata dal rallentamento dell’attività economica potrebbe pesare sugli indici di borsa e suggeriamo di aumentare l’esposizione ai settori difensivi.

Mercati obbligazionari

Opportunità a medio termine, cautela a breve

Se negli USA il picco del ciclo restrittivo dovrebbe essere raggiunto a livelli prossimi a quelli oggi prezzati, in Area Euro i rischi sono per una prosecuzione del trend di revisione al rialzo delle stime di mercato sul sentiero dei tassi ufficiali, anche se ulteriori inversioni di marcia della BCE non si possono escludere, potenzialmente già nel primo semestre. Restiamo convinti del discreto valore offerto dai titoli di Stato nel medio termine, ma non si intravedono catalyst che possano migliorare il sentiment degli investitori a breve. In aggiunta, lo squilibrio fra domanda e offerta di carta governativa, accentuato da QT e stimoli fiscali, e il cambio di approccio della Bank of Japan potrebbero intensificare ulteriormente le pressioni sui prezzi. La view è quindi tatticamente negativa su Bund e BTP e neutrale sui Treasury.

Nel mondo del credito, è ragionevole mantenere un approccio marginalmente più cauto, anche se il carry è interessante nel medio termine. Reiteriamo la forte preferenza per il comparto a più alto merito di credito, almeno fino a quando la recessione non sarà esplosa e non ci saranno evidenze di un cambio di trend sui mercati azionari.

Mercati azionari

Europa: preferenza per i titoli difensivi

A seguito degli annunci restrittivi da parte di Fed e BCE, riteniamo che nel breve termine il rapporto rischio-rendimento sia negativo e si potrebbe assistere a pressioni ribassiste sui corsi azionari. In questo contesto, abbiamo ridotto l’investito e aumentato la componente difensiva a scapito di quella ciclica. A livello settoriale, la view è positiva su consumi discrezionali, bancari, utilities, healthcare e information technology, mentre è negativa su servizi finanziari, energetici e industriali.

Italia: prepararsi a un semestre di volatilità

In un quadro segnato da un’inflazione ancora alta e da un contesto macroeconomico migliore delle attese, fra ottobre e novembre i mercati azionari hanno messo a segno un recupero importante. Le previsioni per il prossimo futuro sono però segnate da attese di aumento della volatilità nel primo semestre e rallentamento della crescita del Pil, oltre che dai primi segnali di pressione sui margini e indebolimento della domanda. L’indicazione è di sovrappeso per finanziari, energetici e titoli di qualità che hanno subìto un de-rating significativo o che presentano profili ESG attraenti. Al contrario, siamo cauti sui titoli di società molto indebitate, industriali, beni discrezionali e consumi di base.

USA: positivi su titoli healthcare e finanziari

Ad esclusione delle società americane con maggiore capitalizzazione di borsa, l’indice S&P500 sulla base degli utili rimane piuttosto attraente rispetto alla media storica. Diversi settori dell’indice, come beni di prima necessità e industriali, sono infatti ancora poco rappresentati al suo interno e potrebbero quindi guadagnare peso. Il posizionamento settoriale rimane piuttosto bilanciato, con preferenze per i settori dei consumi non ciclici, sanità, finanziari e tecnologici.

Emergenti: il contesto rimane sfidante

Nonostante il consensus sembri concorde su un’accelerazione delle riaperture in Cina e condizioni favorevoli a un ritorno dei flussi di capitale nell’area, il contesto globale resta non semplice per i mercati emergenti a causa di rallentamento della crescita, inflazione e rischi geopolitici: per questo suggeriamo una posizione di sottopeso sui Paesi con un’economia più ciclica e sbilanciata verso l’export.

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