Asset allocation: quest’anno più che mai attenzione al timing

Come diceva l’allenatore-filosofo Yogi Berra, fare previsioni è difficile, specialmente sul futuro. Per mitigare il rischio di sbagliare, come è noto, chi fa previsioni (in particolare di mercato) fornisce una tendenza, o addirittura un livello, ma non i tempi necessari a raggiungerlo. In alternativa, si sbilancia sui tempi, ma sta attento a non impegnarsi sui livelli.

Un altro trucco del mestiere è quello di dividere le previsioni a 12 mesi in due, ovvero un semestre negativo seguito da uno positivo o viceversa. In genere si preferisce anteporre il negativo al positivo, in particolare quando verso la fine dell’anno si guarda all’anno successivo. C’è una certa logica in questa preferenza, che riflette la stagionalità dei flussi e del posizionamento. Ma c’è anche, qualche volta, il tentativo di mettersi al riparo da errori clamorosi di previsione.

Verso la fine dell’anno scorso, il consenso sul 2023 ha ricalcato lo schema classico. Una prima metà difficile, probabilmente segnata da una recessione, seguita da un finale d’anno in netta ripresa per effetto dell’allentamento della politica monetaria. C’è stata una certa dispersione nelle stime del livello minimo che sarebbe stato toccato nel primo semestre, ma quasi nessuno ha indicato una partenza brillante come quella che abbiamo poi visto.

Le Borse principali e le obbligazioni governative lunghe si sono infatti riportate sui livelli dell’aprile scorso (recuperando tutte le perdite) e lo stesso ha fatto il dollaro (perdendo tutti i guadagni). Le condizioni finanziarie, che sono oggi il più importante strumento di trasmissione della politica monetaria, sono state restrittive da aprile a ottobre, ma sono diventate espansive da ottobre a oggi.

La stessa cosa è avvenuta sul fronte della liquidità. Qui si è spesso citato il fatto che M2, dopo i giganteschi aumenti del 2020-21, è rallentata fin quasi ad arrestarsi nel 2022. Quanto alla moneta creata direttamente dalle banche centrali, si è dato molto peso al Quantitative tightening della Fed, cui si aggiungerà a partire da marzo quello della Bce. Con i 95 miliardi al mese ritirati dalla Fed, si è pensato, al mercato verrà presto a mancare quell’eccesso di liquidità che ha tanto aiutato il rialzo degli asset finanziari nel 2020-21.

A guardare i numeri effettivi, tuttavia, si vede che l’attivo della Fed, che era di 8940 miliardi in aprile, è sceso oggi a 8440 (500 miliardi in meno) ma la riduzione è stata più che compensata dai 550 miliardi che nel frattempo la Banca del Giappone ha creato per acquistare bond governativi e mantenerne bassi i rendimenti. La Fed, inoltre, ha fatto uso dei reverse repo per compensare una parte del QT. In pratica, la liquidità globale in questi mesi non è diminuita, ma è addirittura leggermente aumentata.

Si può quindi avanzare l’ipotesi, se non altro come stimolo alla riflessione, che la previsione di una prima metà negativa del 2023 e di una seconda metà positiva, vada capovolta. A una primo semestre che vede ancora una buona crescita dell’economia globale (a ritmi che nel decennio scorso trovavamo assolutamente normali) potrebbe seguire una seconda parte dell’anno in cui l’effetto combinato degli ulteriori rialzi dei tassi dei prossimi tre mesi in America e in Europa, del mancato ribasso dei tassi nel resto dell’anno, del graduale esaurirsi dei risparmi in eccesso accumulati dai consumatori americani nei tre anni passati e dell’erosione dei profitti dovuta alla contrazione della domanda (accompagnata dalla riluttanza delle imprese a licenziare) potrebbe portare a una profit recession.

A questo andamento darebbe il suo contributo anche il posizionamento. Siamo entrati nel 2023 scarichi, temendo la recessione. Questo ha spinto a ricoperture affannose degli short quando si sono manifestate le sorprese positive della Cina e dell’inflazione.

Ora però rischiamo, se il rialzo continua, di presentarci al secondo semestre carichi e, di conseguenza, vulnerabili.

Sono ormai dodici mesi che il meccanismo è sempre lo stesso. Si teme una recessione per l’indomani, si scende, ci si accorge dopo qualche tempo che la recessione non c’è stata e si risale. Poi si ritorna ad avere paura e il ciclo riprende.

Lasciamo decidere ai lettori se chiamare quello in corso un lungo bear market rally che sarà seguito dalla fase conclusiva del bear market nella seconda metà dell’anno o se invece definire il rialzo in corso come l’inizio del bull market che sarà seguito da una temporanea correzione.

L’importante è che sia chiaro che stiamo cominciando a scontare un’inflazione ormai sconfitta, un mondo senza recessione (o con una recessione talmente superficiale da essere praticamente inavvertibile), un contesto geopolitico stabile, una Cina che riprendere a crescere senza creare inflazione, nessuna particolare tensione sul fronte dell’energia e profitti che si mantengono sugli elevati livelli dell’anno scorso. Non è un mondo impossibile, ma è il migliore dei mondi possibili.

Le banche centrali, per dovere istituzionale ma non solo, si mantengono più prudenti. Se è vero che il processo di normalizzazione si trova a buon punto, è altrettanto vero che molto resta ancora da fare.

Come investitori, continuiamo a pensare al 2023 come a un anno di accumulo graduale e paziente. Fretta e avidità possono essere cattive consigliere, ma non c’è ragione per rimanere sottopesati di rischio. L’inflazione elevata è stata nemica delle borse perché ha portato a una contrazione dei multipli. Al contrario, un’inflazione stabilizzata su livelli che tre anni fa ci sarebbero parsi alti ma che oggi sono considerati accettabili darebbe da qui in avanti un sostegno strutturale agli asset reali.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e Il Nero)

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