Asset allocation: le previsioni di Ofi Invest AM

Il 2022 è stato un anno di grandi cambiamenti. In Europa, stimiamo che almeno un quarto di questi cambiamenti continuerà a verificarsi nel 2023, tra cui: le tensioni geopolitiche, con la guerra in Ucraina; i prezzi elevati dell’energia, che rendono necessaria la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, in attesa del passaggio all’energia decarbonizzata; l’inflazione, che è tornata alla ribalta dopo essere scomparsa per 20 anni e non tornerà ai livelli pre-crisi; la fine del mito del denaro libero e illimitato, che a lungo termine rappresenta una minaccia per il finanziamento del debito sovrano”. L’avverimento arriva da Ombretta Signori, Responsabile Ricerca e Strategia Macroeconomica e Eric Bertrand, CIO di Ofi Invest AM, che di seguito illustrano nel dettaglio la loro view.

Lo scenario centrale

Gli asset rischiosi hanno iniziato l’anno con il botto, spinti in parte da uno spostamento dei tassi di interesse che riteniamo in parte contraddittorio. I mercati sembrano prezzare tagli dei tassi di riferimento da parte delle banche centrali già nella seconda metà dell’anno, pur ipotizzando un rallentamento dell’economia e un controllo dell’inflazione, in particolare negli Stati Uniti. In tal caso, dovremmo assistere a revisioni al ribasso delle previsioni sugli utili per il 2023, che getterebbero acqua fredda soprattutto sui mercati azionari. Inoltre, è probabile che la riapertura della Cina continui a far rivedere al rialzo le previsioni di crescita globale e probabilmente anche i prezzi delle materie prime e dell’energia.

Alla luce di ciò, ci aspettiamo che i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza salgano leggermente nel breve termine, una volta raggiunti i tassi target a breve termine delle banche centrali (circa il 5,00% per la Federal Reserve e il 3,50% per la Banca Centrale Europea), prima di scendere nella seconda metà dell’anno.

Visto il trend previsto per i tassi d’interesse e il percorso già intrapreso dalla fine di settembre 2022, siamo più cauti a breve termine sui mercati azionari, con l’obiettivo di recuperare l’esposizione durante le fasi di volatilità che le variazioni dei tassi d’interesse e le revisioni delle previsioni sugli utili potrebbero causare nei prossimi mesi.

Alcune belle sorprese di inizio anno

L’euforia dei mercati per l’anno in corso è dovuta ai segnali incoraggianti provenienti dall’Europa. L’Eurozona ha resistito meglio del previsto allo shock dei prezzi dell’energia, grazie a diversi fattori, come la sostituzione del gas russo con altre fonti di approvvigionamento, l’aumento dell’efficienza energetica, le temperature miti e gli aiuti statali a famiglie e imprese. I dati macroeconomici indicano addirittura una semplice stagnazione nell’Eurozona per questa vittoria, piuttosto che una moderata recessione. La riapertura della Cina, uno dei catalizzatori del mercato all’inizio del 2023, è un ulteriore fattore che potrebbe in parte compensare la debolezza delle economie sviluppate. Non dobbiamo però trascurare il fatto che la maggior parte dei Paesi sviluppati potrebbe ancora essere spinta in recessione dalle conseguenze dell’inflazione e della stretta monetaria. È quindi probabile che la crescita globale subisca una flessione nel 2023 prima di riprendere quota.

Recessione negli Usa?

Un punto chiave per gli investitori è se gli Stati Uniti entreranno in recessione e, in tal caso, quando. Considerati i tempi di attuazione della politica monetaria, a nostro avviso la recessione rimane lo scenario più probabile, poiché è necessario più di un anno perché la stretta monetaria abbia il massimo impatto sull’economia reale.

Per quanto riguarda le famiglie, l’eccesso di risparmio derivante dalla crisi di Covid, che secondo i nostri calcoli si è già esaurito per metà, non sarà più in grado di sostenere i consumi. Per quanto riguarda le imprese, è probabile che gli investimenti produttivi risentano di una stretta creditizia e che le aziende siano meno in grado di conservare i propri margini, con conseguenti ripercussioni negative sull’occupazione.

L’inflazione

La buona notizia è che l’inflazione probabilmente si modererà quest’anno, ma ci vorrà molto tempo per convergere verso gli obiettivi della banca centrale. Dovrebbe rimanere a livelli superiori (o prossimi) al 3,0% alla fine del 2023. Negli Stati Uniti, l’inflazione totale ha già subito un notevole rallentamento, attestandosi al 6,5% a dicembre, dopo aver raggiunto un picco del 9,1% lo scorso giugno, e le pressioni al ribasso su di essa saranno probabilmente guidate questa primavera dall’indebolimento della componente immobiliare. Nell’Eurozona l’inflazione è più alta (8,5% a gennaio).

In entrambe le regioni, la sfida principale è ora rappresentata dai servizi, che sono la componente meno variabile e più persistente del paniere dei prezzi al consumo.

Banche centrali ancora in movimento

La Federal Reserve americana ha dichiarato di avere due criteri chiave per l’orientamento della politica monetaria nel 2023: un allentamento delle pressioni sul mercato del lavoro e un rallentamento “consistente” dell’inflazione dei servizi non abitativi. Il secondo criterio dipende in gran parte dal primo, in quanto i salari dei servizi non abitativi sono il principale fattore di spinta dei prezzi in questi settori. Il mercato del lavoro è ancora solido, come dimostrano i principali indicatori: un tasso di disoccupazione inferiore alla media di lungo periodo, un record di posti di lavoro disponibili e una robusta dinamica salariale. Questo contesto giustifica un tasso finale della Fed di circa il 5,00%-5,25% e il mantenimento di un atteggiamento da falco sull’inflazione ancora per qualche tempo.

Nell’Eurozona, la fase di diffusione dei prezzi degli input nei prezzi pagati dalle famiglie è ancora in corso, il che suggerisce che l’inflazione di fondo dovrebbe moderarsi significativamente nella seconda metà dell’anno. Una crescita salariale significativamente più elevata rispetto al 2022 (da +3% a +5%, secondo lo scenario di base della BCE) potrebbe inoltre sostenere la posizione dei falchi del Comitato esecutivo della BCE.

Per questo motivo prevediamo ancora un significativo inasprimento, con il tasso di interesse sui prestiti che supererà il 3,0% e si avvicinerà al 3,5%. Inoltre, la normalizzazione del bilancio continuerà attraverso il rimborso delle operazioni di rifinanziamento a lungo termine e l’inasprimento quantitativo.

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