Asset allocation: ecco come adattarsi ai cambiamenti macro in atto

Quale sarà la decisione di Powell al prossimo meeting della Fed il 21-22 marzo? Scongiurato un rialzo di 50 bp, ci sembra di poter sostenere che un aumento di 25 punti ci sta tutto. L’inflazione, ancorchè in calo, risulta infatti storicamente elevata, come si nota dal grafico seguente.

Inflazione Usa degli ultimi 25 anni

Inflazione che, ai livelli attuali, continua ad erodere in modo importante il potere d’acquisto dei salari e che potrebbe presto far scattare richieste salariali il cui aumento medio potrebbe essere maggiore di quello registrato a gennaio (+7,86% YoY), innescando la spirale salari/prezzi.

I mercati azionari hanno reagito positivamente al dato, con Dow Jones Industrial Average salito di oltre 300 punti (ignorando il taglio di Moody’s dell’outlook sulle banche USA da stabile a negativo). Mentre le obbligazioni, i cui rendimenti erano scesi violentemente la scorsa seduta, hanno visto un aumento di 30 bp al 4,33%. In seguito al dato, i trader hanno rivisto le loro aspettative di rialzo dei tassi: l’85% di loro prevede ora un aumento di 25 bp nel prossimo meeting.  In altre parole, le aspettative dei mercati vedono una FED che continuerà a dare priorità alla stabilità dei prezzi rispetto alla crescita economica. Sul mercato dei cambi, l’euro ha recuperato terreno contro il dollaro, tornando sopra 1,07 a 1,072 (da 1,0737 dollari ieri in chiusura) e 143,78 yen (da 143,084).

Nel mondo pre-crisi bancarie un’inflazione al 6% avrebbe con tutta probabilità spinto la FED ad aumentare i tassi di 50 bp. Powell non mentiva ai mercati, quanto più volte ricordava che gli aumenti futuri dei tassi sarebbero stati funzione dei dati e degli eventi.

Se 50 bp non sembrano sul tavolo a marzo, non significa che la FED si accontenti degli aumenti già fatti e nemmeno che il tasso terminale non possa raggiungere “high 5s”, soprattutto se gli sforzi per ripristinare la stabilità del settore bancario avranno successo.

E gli investimenti?

artiamo dalle obbligazioni. I rendimenti obbligazionari reali sono notevolmente rimbalzati a svantaggio degli investitori nel 2022, quando le banche centrali hanno posto fine alla repressione finanziaria (modalità di tassare gli obbligazionisti mantenendo i rendimenti reali negativi). L’uscita dalla repressione finanziaria ha comportato gravi perdite per gli investitori in titoli a reddito fisso (rendimenti più elevati comportano, come noto, una riduzione dei prezzi dei titoli). Nell’era della repressione finanziaria, gli investitori in obbligazioni hanno dovuto assumere un maggiore rischio di credito per smorzare i rendimenti reali negativi. Adesso, invece, non è più necessario e gli investitori in obbligazioni possono evitare i rischi di credito più elevati, come l’high yield, e optare per obbligazioni di migliore qualità, ottenendo un rendimento decente. Non escludiamo che nel corso dell’anno il rapporto rischio/rendimento si possa spostare ancora verso le fasce più alte del rischio di credito, costringendo così gli investitori ad assumere più rischio (ad esempio quando gli indicatori anticipatori raggiungeranno il minimo nel 2023 e l’economia mostrerà segni di ripresa nel 2024).

I mercati azionari di tutto il mondo hanno subìto una forte pressione nei primi nove mesi del 2022, a causa soprattutto del rialzo dei tassi di interesse. Riteniamo che il sell-off sia del tutto eccezionale perché è stato quasi interamente dovuto al derating dei multipli, ossia da valutazioni in calo, mentre le aspettative sugli utili sono rimaste stabili.

Nel 2023 riteniamo che gli investitori si concentreranno sempre più sulle prospettive degli utili e in particolare sulla loro resilienza a fronte del forte rallentamento dell’attività economica e delle pressioni inflazionistiche. Crediamo quindi che sia ragionevole per gli investitori mantenere una strategia orientata verso i titoli di qualità ed a elevato cashflow.

Più avanti e probabilmente a cavallo tra prima e la seconda metà del 2023, si potrà gradualmente iniziare a valutare settori più ciclici, che dovrebbero iniziare a guardare oltre il rallentamento temporaneo e a scontare una ripresa economica nel 2024.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

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