Investimenti: lezioni da una crisi

Vent’anni fa. La Signora Cliente si presenta allo sportello della Banca Piccola e chiede di trasferire tutto alla Banca Grande che sta di fronte. Ha letto che l’economia non va bene e preferisce tenere i soldi in un posto che ritiene più sicuro. Lo sportellista chiama il direttore, che arriva subito e invita la cliente a prendere un caffè con lui.

Cara signora, lei è uno dei nostri più cari clienti. La abbiamo aiutata volentieri con un finanziamento quando ne ha avuto bisogno, ci conosciamo bene e le vogliamo offrire un deposito vincolato con un rendimento interessante. Ci pensi su qualche giorno, vedrà che non troverà molte offerte migliori in giro. La nostra banca ha avuto un momento di difficoltà nei mesi scorsi ma stia tranquilla, stiamo già iniziando a venirne fuori molto bene. Lei resta naturalmente liberissima di chiudere il conto, ma, per carità, non lo porti alla Banca Grande. Per loro lei sarà solo un numero, mi creda, mentre per noi i clienti come lei sono preziosi.

2023. La Signora Cliente legge su un social media, su un account semisconosciuto, che alcune banche cominciano a essere chiacchierate. Nel dubbio che presto o tardi lo sia anche la sua, prende il cellulare, apre la app di Banca Piccola e trasferisce tutto su Banca Grande.

Grande cosa l’home banking. Fa risparmiare personale alle banche e tempo ai clienti. Rende però difficile l’azione di retention quando sarebbe più utile per la banca, quando cioè la palla di neve dei primi clienti spaventati che sta rotolando sul fianco della montagna può essere fermata (o anche solo rallentata) prima che si trasformi nella valanga che travolgerà tutto.

Naturalmente i social media e l’home banking non sono la causa profonda delle crisi bancarie dei giorni scorsi, ma certamente sono un acceleratore che, in alcuni casi, può avere fatto la differenza. Nessuno ne aveva tenuto conto, ora ne conosciamo l’importanza.

Al di là dell’home banking, gli episodi dei giorni scorsi hanno evidenziato alcune debolezze strutturali del sistema. Negli Stati Uniti le sole banche commerciali sono oggi più di 4600. In Canada, fatte le proporzioni, dovrebbero essere un decimo e invece sono solo 34. Le quattro maggiori coprono il 90% del mercato, sono presenti in modo capillare in tutte le province e coprono tutti i settori dell’economia. Nonostante la volatilità elevata del mercato immobiliare, nessuna banca canadese ha avuto incidenti nel 2008 e nessuno ne mette oggi in discussione la solidità.

Le banche piccole e medie arricchiscono il sistema e possono avere una funzione preziosa, ma devono essere ben regolate anche loro, possibilmente in modo intelligente e non soffocante. Silicon Valley Bank, che per gli Stati Uniti era una banca media pur essendo grande, aveva una fortissima concentrazione geografica e settoriale. Questo avrebbe dovuto richiedere una particolare attenzione nella gestione del portafoglio titoli, ma così non è stato, né i regolatori hanno avuto da eccepire.

Fortunatamente, anche se non siamo ancora capaci di prevenire crisi e incidenti, siamo sempre più bravi nel circoscrivere gli incendi e limitare i danni. L’azione congiunta della Fed e del Tesoro è stata efficace. L’ambiguità di una Yellen che dice che non può garantire i depositi ex ante e di un Powell che dice che in pratica saranno tutti garantiti ex post è un compromesso corretto tra l’esigenza di mantenere un freno all’azzardo morale e quella di difendere la stabilità finanziaria e i depositanti.

Per i mercati, il bilancio di questa vicenda è una conferma della natura lenta e vischiosa del processo di normalizzazione dopo gli eccessi degli anni scorsi. Per tutto il 2022 si è vissuto come recessione un semplice rallentamento di un’economia globale surriscaldata. In compenso, si è sviluppata l’attesa messianica di un mitico pivot (il passaggio della politica monetaria da restrittiva a espansiva) che avrebbe portato un giorno un violento rimbalzo di economia e borse.

In realtà tutto è stato, è e continuerà a essere più grigio e smorzato, anche perché è a questo che puntano le banche centrali. Il mercato azionario sembra averlo capito e da tempo l’indice S&P 500 non si allontana troppo da 4000, un livello di equilibrio che sconta un moderato rallentamento nella seconda parte di quest’anno e una moderata ripresa l’anno prossimo. Monetario e obbligazionario, dal canto loro, si fanno carico del lavoro di stabilizzazione, muovendo il loro peso decisivo in una direzione o nell’altra.

Come nella dottrina militare degli Stati Uniti, che prevede la possibilità di combattere contemporaneamente due guerre su teatri differenti, la Fed intende combattere in parallelo la battaglia dell’inflazione e quella della stabilità finanziaria. Correttamente, nella battaglia dell’inflazione si tiene conto della maggiore prudenza e selettività nella concessione di crediti da parte delle banche dopo i recenti episodi. Questa prudenza equivale a spanne a 25-50 punti base di rialzi dei tassi. Se dunque due settimane fa, dopo la recrudescenza dell’inflazione negli ultimi due mesi si poteva ipotizzare un tasso terminale tra il 5.25 e il 5.75 per cento, oggi è il 5-5.25 che appare più probabile.

È importante capire che la Fed non sta abbassando il tasso terminale per dare una mano alle banche, ma perché le banche faranno da qui in avanti una parte del suo lavoro. Per questo non sarebbe corretto che le Borse festeggiassero con un rialzo eccessivo il tasso terminale più basso.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos (rubrica Il Rosso e Il Nero)

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