Le banche centrali si trovano in una “terra incognita”, alle prese con una serie di mali economici scaturiti da tassi mantenuti bassi per molto tempo e messi in evidenza da Edward Chancellor nel suo “Il prezzo del tempo” e da Claudio Borio della Banca dei Regolamenti Internazionali. Un primo effetto negativo dei tassi bassi è stata l’allocazione dei capitali verso cattivi investimenti, i tassi inferiori al tasso naturale r* costituiscono un ostacolo più basso, gli investimenti si indirizzano così verso progetti con rendimenti attesi inferiori. Come conseguenza, ecco un secondo effetto negativo, il denaro a basso costo ha tenuto in vita aziende che in un contesto di tassi di interesse normali sarebbero fallite.
La politica monetaria ultra-accomodante ha tenuto in piedi migliaia di aziende “zombie” che concorrono a schiacciare verso il basso la produttività. I tassi bassi hanno consentito inoltre l’allungamento delle catene di fornitura globali ma, scriveva profeticamente Chancellor, quando i tassi aumenteranno la globalizzazione subirà necessariamente una brusca retromarcia. Ci troviamo esattamente a questo punto di svolta, il ritorno alla normalità dei tassi è come un assestamento di faglie geologiche che genera scosse in superficie, gli edifici più fragili si incrinano o crollano.
La crescita è da sempre funzione delle dinamiche del credito, l’aumento dell’erogazione creditizia costituisce un impulso positivo che alimenta l’attività economica, la crescita della domanda è più forte del trend. Al contrario, quando l’erogazione di nuovi prestiti si contrae si parla di impulso al credito negativo, la crescita della domanda è più debole del trend.
La vicenda della Silicon Valley Bank è stata un colpo duro per il sistema delle piccole banche americane, nel prossimo futuro saranno verosimilmente più conservative nell’erogazione dei prestiti e l’impulso al credito potrebbe indebolirsi ulteriormente, la crescita della domanda contrarsi. A maggio la Fed potrebbe aumentare i tassi di un altro quarto di punto, la paura di una crisi bancaria sistemica è rientrata ma i rialzi dei tassi e le più severe condizioni del credito impatteranno sulla crescita.
Per valutare il rischio di recessione teniamo d’occhio i consumatori americani, i loro acquisti rappresentano circa l’80% dell’economia: gli indicatori dei consumi di “piacere”, come le prenotazioni di viaggi e ristoranti, sono robusti ma ricordiamo anche che le piccole banche rappresentano la gran parte del credito immobiliare e al consumo.
Nei mercati sembra tornata la razionalità, le ultime sedute della settimana scorsa hanno registrato il prevalere del principio di realtà sulle emozioni, sono tornati gli acquisti sui titoli azionari e sul settore bancario, siamo passati dalla domanda “chi sarà il prossimo”, a “cosa accadrà al segmento delle obbligazioni AT1”, fino alla più circoscritta “cosa accadrà alle obbligazioni AT1 svizzere”.
A differenza del mercato azionario, quello obbligazionario prende sul serio il nuovo storytelling delle tensioni nel settore bancario e dell’economia prossima alla recessione, i prezzi dei futures scontano tagli dei tassi da parte della Federal Reserve entro la fine dell’anno, uno scenario che comporta rallentamento economico e inflazione sotto controllo.
I fatti però mostrano uno scenario diverso, l’inflazione di base non mostra ancora una significativa decelerazione e di certo non aiuta la decisione a sorpresa dei paesi Opec+ dei tagli alla produzione di greggio.
Non dimentichiamo che le previsioni sono scritte sulla sabbia, le narrazioni si avvicendano con insolita rapidità: siamo entrati nel 2023 con la recessione più annunciata della storia, in gennaio si è affermata l’idea del soft landing, poi quella di nessun atterraggio anzi “l’economia goldilocks è ancora qui”. Verso la fine del trimestre è arrivato il terremoto delle banche negli Stati Uniti e in Europa, ora si torna a parlare di recessione.
I tassi stanno cominciando a pesare sulla crescita e gli impulsi al credito stanno rallentando un po’ ovunque, la crisi bancaria affligge le economie avanzate ma non coinvolge i paesi emergenti dove, tra l’altro, l’inflazione sui beni alimentari sta decrescendo.
La Cina, il grande catalizzatore dell’area asiatica, sta cercando di sostenere la crescita in tutti i modi, l’obiettivo del governo è compensare la crescita insoddisfacente del 2022 con una crescita attorno all’obiettivo nell’anno in corso, meglio se sopra, anche di poco. La domanda è se gli sforzi governativi si manifesteranno in un impulso positivo al credito. I nuovi prestiti sono stati deboli, ma le recenti misure politiche sembrano di supporto, l’attività dovrebbe riprendersi se l’impulso sarà positivo.
Merita un’occhiata anche l’Europa dove dopo i giorni di passione, nel tiro alla fune tra emotività e realtà, ha prevalso la seconda, gli operatori hanno realizzato che le banche entrate nelle cronache non sono i cavalieri dell’Apocalisse, il sistema bancario europeo è solido e il mondo non finisce né oggi né domani. L’indice MSCI Europe tratta a 12,5x gli utili (la media di lungo termine è di circa 15x) che sono attesi in crescita.
Dipendiamo dall’inflazione e dai dati, ripetono i banchieri centrali, l’atteggiamento dell’investitore nelle prossime settimane sarà ancora improntato alla pazienza e alla selezione attiva di investimenti di qualità, evitando di indulgere alle narrazioni semplificatorie. Meglio mantenere un approccio cauto almeno fino a quando il profilo delle nuove condizioni finanziarie sarà meno incerto, in una direzione o nell’altra. Non c’è fretta per assumere nuovi rischi.