Asset allocation: bond o equity? L’importante è che siano emergenti

“Nell’attuale congiuntura dei mercati finanziari, l’azionario sembra parlare di un’economia solida e dalle prospettive incoraggianti. L’obbligazionario, all’opposto, riflette un andamento dell’economia molto più incerto“. Ad affermarlo è il team di gestione di AcomeA SGR, che di seguito spiega nel dettaglio la view.

Da una parte le valutazioni tutt’altro che basse sulle Borse delle due sponde dell’Atlantico fanno presupporre un certo ottimismo sulle prospettive degli utili e dell’economia. Dall’altro, l’inclinazione negativa (inversione, cioè quando la parte a breve rende di più di quella a lungo) delle curve dei tassi di Bund e Treasury segnala una recessione.

Questo vuol dire che il mercato si attende una inversione della politica dei tassi di interesse e, negli Usa, sconta una riduzione del costo del denaro già dalla fine del 2023. Un simile scenario è tuttavia contraddetto dagli stessi banchieri centrali sia in Usa sia in Europa: questi ultimi continuano infatti a sostenere che i tassi rimarranno sugli attuali livelli per diversi trimestri e, verosimilmente, fino alle fine del 2024.

Dubbi sulle condizioni dell’economia arrivano anche dalla lettura dei mercati del credito: gli spread delle emissioni high yield negli Stati Uniti e gli spread di cross-over delle obbligazioni investment grade e non investment grade in Europa, pur lontani dai picchi del 2022 e di marzo 2023, non sono ancora tornati su livelli coerenti con l’assenza di timori per le prospettive future degli emittenti societari e con un’economia in salute.

Una indicazione di cautela ancora più forte arriva dagli spread dei bond bancari – soprattutto i subordinati Tier 1 e Tier 2 – anche in seguito al fallimento delle due banche regionali Usa e alla vicenda Credit Suisse. Anche se le banche hanno un conto economico in miglioramento per via dell’aumento del margine di interesse evidentemente il mercato ha dei dubbi sulla esigibilità dei loro crediti.

La preoccupazione per le condizioni dell’economia e il timore che un aumento delle sofferenze bancarie pregiudichi la capacità reddituale degli istituti di credito è evidente anche dal multiplo p/e (price/earning) del settore che, nonostante il miglioramento degli ultimi trimestri, è ai minimi degli ultimi 20 anni. Tale multiplo, in altre parole, si attesta oggi sui livelli della crisi finanziaria, della crisi dello spread del 2011 e del marzo 2020 con l’esplosione del Covid.

Un quadro totalmente diverso viene dipinto dal mercato azionario Usa ed europeo, dove gli indici sono abbastanza vicini ai massimi della prima metà del 2021 e l’equity risk premium (cioè la differenza fra il rendimento delle azioni e il rendimento del Treasury) è ai minimi dal 2013.

Focus sull’alto rendimento per i bond ma con una riserva tattica di cash

In un simile contesto occorre puntare, per l’obbligazionario, su aree ad alto rendimento come i paesi emergenti e il settore bancario europeo, tenendo tuttavia una riserva di liquidità elevata da impiegare tatticamente per approfittare della volatilità. Sul fronte degli emergenti largo al segmento in valuta locale, soprattutto in America Latina e Brasile dove c’è stato un forte rialzo dei tassi che ha contribuito a far apprezzare valute come il reais brasiliano, ma anche il peso messicano e il peso colombiano.

Per il segmento bancario la parte senior è da privilegiare, ma anche Tier 1 e dei Tier 2. Le banche europee, infatti, escono da anni di regolamentazione molto scrupolosa, che le hanno portate ad una condizione di solidità finanziaria e patrimoniale molto diversa dal 2011. Tanto è vero che la crisi di Credit Suisse è stata legata non tanto ai suoi livelli di patrimonializzazione quanto alla credibilità del suo modello di business e del suo management ed è stato, dunque, un episodio idiosincratico che resta isolato.

Sul fronte dei governativi, la parte lunga della curva è destinata ad essere penalizzata dal processo di riduzione della quantità monetaria che continuerà in Usa e si rafforzerà in Europa. Probabilmente già alla prossima riunione della Bce riceveremo indicazione di un aumento del quantitative tightening (QT). In simile contesto, difficilmente i tassi reali torneranno verso lo zero ma si attesteranno verosimilmente intorno o sopra 1. In termini di volatilità appare più rischioso il Bund decennale che un senior bancario europeo.

Un regime di QT pronunciato e prolungato nel tempo esporrà il mercato a rischi come accaduto con le banche Usa e Credit Suisse. Di qui la necessità di un sostanzioso cuscinetto di liquidità in portafoglio per poter approfittare di fasi di accelerazione impreviste dei mercati, come accaduto sui subordinati bancari in seguito alla vicenda Credit Suisse.

Azioni: nonostante la correzione di marzo continua ad esserci valore nei titoli value

La convinzione che i tassi reali siano destinati a rimanere intorno all’1% per effetto del QT supporta anche la preferenza per l’investimento in titoli value rispetto a quelli growth. Questi ultimi, soprattutto negli Usa, hanno beneficiato fino al 2021 di condizioni di finanziamento ultra espansive e sono quindi oggi sfavoriti dalla risalita dei tassi di interesse anche per gli elevati livelli di debito accumulato. Non solo: lo spread di valutazione fra value e growth, nonostante le performance molto positive del value nel 2022, è ancora oggi su livelli vicinissimi se non superiori a quelli raggiunti durante la bolla dotcom, indicando quindi una forte convenienza dei titoli più sottovalutati e trascurati dal mercato, rispetto a quelli le cui valutazioni scontano già crescita importante dei fondamentali.

In un mondo normalizzato dove i tassi reali sono positivi e quelli nominali in risalita l’azionario è tornato ad essere guidato dalle valutazioni. Ed è ancora sulle borse emergenti, come per esempio quelle dell’America Latina, che si trova oggi migliori opportunità di rendimento, buona qualità delle singole storie di stock picking in presenza di valutazioni particolarmente interessanti.

I mercati emergenti, infatti, consentono di esporsi a una buona crescita attesa dell’economia, pur con valutazioni particolarmente “a sconto”: per esempio oggi una crescita come quella dell’America Latina si paga un terzo del prezzo di quelle che sono state mediamente le valutazioni degli ultimi 15 anni. In queste aree, come anche in Giappone, c’è anche una percentuale di aziende net cash (con più liquidità che debito) che è cresciuta in maniera significativa rispetto a quanto avvenuto negli Stati Uniti e in Europa.

Più che sul fronte della crescita le aziende giapponesi sono interessanti dal punto di vista delle valutazioni (enterprise value/Ebitda di cinque volte rispetto a una media di 10) in presenza di un continuo impegno al miglioramento dell’efficienza sia finanziaria sia di governance con l’obiettivo di chiudere il gap di competitività con le altre aziende mondiali.

In un quadro, quindi, dove sembrano prevalere i mercati emergenti, anche l’Italia può regalare soddisfazioni con le sue PMI, piccoli gioielli con potenzialità di crescita superiori a quelle del resto del mercato, bassi livelli di debito su Ebitda e valutazioni relative molto più a sconto rispetto a quelle di aziende del FTSE Mib. Le Blue chip trattano infatti a 2,3 volte rispetto all’1,1 volte delle small cap 1,1, lo 0,8 volte delle mid cap e lo 0,6 volte del segmento Star.

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