Asset allocation, la view di Vontobel sui corporate bond europei

“Nell’Area Europea (AE) gli investitori del segmento investment grade non dovrebbero essere troppo sorpresi dallo stravolgimento a cui abbiamo assistito nel mese di marzo”, afferma Mondher Bettaieb-Loriot, Head of Corporate Bonds di Vontobel, che di seguito illustra la view sul comparto.

Riteniamo che i nostri segmenti corporate sviluppati si siano dimostrati piuttosto preparati, in quanto eravamo consapevoli che la politica dei tassi di interesse tende a funzionare con un certo ritardo e che alla fine gli aumenti dei tassi possono farsi sentire tutti insieme. Inoltre, gli elevati rendimenti complessivi registrati da inizio anno garantiscono una buona protezione da tale volatilità in un momento in cui la correlazione tra rendimenti dei titoli di Stato di riferimento/spread creditizi è diventata più negativa.

In altre parole, questo ritorno della volatilità ha, a nostro parere, un risvolto positivo, in quanto con tutta probabilità segnala che il ciclo rialzista della Federal Reserve USA potrebbe essere già andato troppo oltre e aver già raggiunto l’obiettivo; per cui confidiamo più nei tagli della Fed nella seconda parte di quest’anno che in un ulteriore rialzo in occasione della riunione di maggio.

Inoltre, il calo dei rendimenti di riferimento (i rendimenti di Bund e Treasury hanno iniziato a scendere con decisione) ha compensato l’ampliamento degli spread creditizi, nell’ambito di un rapporto più normale che consente agli investitori di continuare a ottenere un buon rendimento del carry nel credito dei mercati sviluppati. Dal un punto di vista del rendimento complessivo, il rallentamento delle economie surriscaldate tende a sostenere ancora i nostri segmenti, anche se con un posizionamento e una strategia più prudenti fino a quando non si dipaneranno le nubi che si sono addensate sullo slancio della crescita.

I rialzi dei tassi di interesse si fanno sentire tutti insieme

Ma prima vorremmo iniziare a parlare delle turbolenze che hanno segnato il settore bancario e, più in particolare, quello statunitense. Da qualche tempo i risparmiatori delle banche di minori dimensioni hanno iniziato a ritirare i propri depositi per trasferirli in banche di maggiori dimensioni o nei mercati monetari in modo da guadagnare di più sui depositi. Questa dinamica si è intensificata e ha creato preoccupazioni e problemi di liquidità tra le banche regionali e quelle di ridotte dimensioni, arrivando persino in alcuni casi a far fallire banche come SVB e Signature Bank.

Questa situazione indurrà pertanto a inasprire norme sul credito e condizioni di concessione dei prestiti per famiglie e imprese nei prossimi trimestri, dato che i costi di finanziamento aumentano e il divario tra ciò che si può guadagnare sui mercati monetari e i depositi bancari non potrà essere colmato in tempi brevi, dato che il tasso sui Fed Fund è già troppo alto e restrittivo (abbiamo sottolineato che i tassi attivi sui prestiti superiori all’8% per il pubblico e le imprese erano troppo alti e restrittivi già da tempo).

La Fed è stata quindi costretta a tirare il freno nell’ultima riunione del 23 marzo, modificando la forward guidance relativa al ciclo rialzista dei tassi per placare l’inflazione. La banca centrale invece “prevede che ora potrebbe essere opportuno un ulteriore irrigidimento della politica monetaria” a seconda “dei dati in arrivo e dell’effetto reale e previsto dell’inasprimento delle condizioni creditizie sulle condizioni economiche, sul mercato del lavoro e sull’inflazione”. A nostro avviso, l’approccio di politica monetaria sta diventando più cauto e vorremmo sottolineare che il presidente Jay Powell sembra essersene reso conto, visti i commenti rilasciati durante la conferenza stampa.

Data questa incertezza e lo shock creditizio creato dall’aumento del tasso sui Fed Fund che si è fatto sentire tutto insieme, questi livelli elevati dei tassi dovrebbero avere un effetto negativo sull’economia e probabilmente porteranno a un cambio di regime in seno alla Fed – e forse anche tra le altre principali banche centrali. La Fed potrebbe decidere che l’inasprimento delle norme sul credito continuerà a lavorare al suo posto e quindi potrebbe essere indotta a interrompere gli interventi sul proprio tasso di riferimento, prendendosi di fatto una pausa. Questo fino a quando non ci sarà maggiore chiarezza e certezza sugli effetti di questo shock creditizio e bancario, soprattutto se le aspettative inflazionistiche rimarranno ben ancorate.

Anche nell’AE la situazione è diventata fluida e più incerta. Il notevole inasprimento delle condizioni di prestito ha preso concretamente avvio nel quarto trimestre del 2022, come risulta dall’ultima indagine sui prestiti della Banca Centrale Europea pubblicata alla fine di gennaio di quest’anno. Questa dinamica potrebbe intensificarsi su questa sponda dell’Atlantico e nei prossimi trimestri, con la BCE che non sarà più costretta ad aumentare i tassi in misura tanto elevata e diffusa come ci si aspettava, considerando che le turbolenze generate dalle banche svizzere dovrebbero togliere un po’ di aria anche all’economia dell’Area Europea. In effetti, nella nostra parte del mondo, i prestiti alle famiglie sono ancora più correlati ai consumi privati, con i modelli di consumo che potrebbero iniziare a risentire ancora di più nel breve termine dei tassi restrittivi.

A poche ore dal primo salvataggio di Credit Suisse, la BCE ha comunque proceduto con il previsto rialzo di 50 punti base ma, allo stesso tempo, ha abbandonato la forward guidance relativa al ciclo rialzista e ha introdotto condizioni finanziarie e la nozione di forza di trasmissione della politica monetaria nella prossima valutazione delle prospettive inflazionistiche. Sembra inoltre che la BCE intenda verificare l’effetto di questo caos nel settore bancario, per cui potrebbero restare in programma solo uno o due ulteriori piccoli rialzi, dato che le turbolenze bancarie avranno spaventato i consumatori e fatto gran parte del lavoro al momento assegnato ai policymaker.

Passando all’episodio di Credit Suisse, nel weekend del 18 e 19 marzo le autorità finanziarie svizzere non hanno perso tempo e hanno fatto confluire la banca nella concorrente UBS. Quest’operazione all-share del valore di 3 miliardi di franchi svizzeri è stata un vero affare per UBS.

Naturalmente l’azzeramento completo degli AT1 è davvero una notizia sorprendente, poiché Credit Suisse non è arrivata a un punto di insostenibilità economica e non ha nemmeno raggiunto il trigger per la svalutazione degli AT1. A seguito di questa decisione, chi ha investito negli AT1 viene scavalcato e si colloca in una posizione subordinata rispetto agli investitori azionari. In una waterfall normale anche gli investitori azionari non avrebbero dovuto ricevere nulla ma così non è accaduto.

L’Autorità bancaria europea e la Bank of England hanno prontamente ribadito che gli strumenti di common equity sono i primi ad assorbire le perdite e solo dopo il loro pieno utilizzo sarebbe necessario procedere alla svalutazione delle obbligazioni AT1. Le autorità di Europa e Regno Unito hanno inoltre confermato che continueranno ad adottare questo approccio – un commento molto positivo a sostegno del segmento AT1, soprattutto perché gli AT1 rimarranno una componente importante della struttura patrimoniale delle banche europee.

Ciononostante, questo evento ha tendenzialmente suscitato nervosismo tra gli investitori e, di conseguenza, sono sorti molti interrogativi sulla solidità degli istituti bancari europei. Vorremmo quindi approfittare dell’occasione per sottolineare che le banche europee vantano un ottimo livello di liquidità, con un Liquidity Coverage Ratio medio di circa il 140%. Inoltre dispongono di circa 3.000 miliardi di euro di depositi presso le banche centrali, pari a circa il 23% dei depositi della clientela (fonte: ricerca azionaria di UBS). Si tratta di una situazione molto solida. Inoltre, le banche europee hanno una capitalizzazione molto elevata. Da decenni i coefficienti patrimoniali CET1 non si aggiravano a questi livelli, in media intorno al 14%, e ciò è dovuto a una solida vigilanza e alle misure di riduzione del rischio adottate dalle banche stesse in seguito alla crisi finanziaria globale del 2008 e all’adeguamento a modelli di business più conservativi.

Come hanno reagito a tutti questi eventi di marzo i mercati investment grade dell’Area Europea?

Chiaramente il mercato del credito investment grade dell’AE ha subito un calo a marzo, in quanto le obbligazioni industriali senior hanno registrato un ampliamento da 11 pb a 80 pb per i settori immobiliare e dei servizi finanziari, cedendo la maggior parte dei guadagni realizzati da inizio anno. Anche le strutture a beta più elevato o subordinate e i titoli BB hanno registrato un ampliamento da circa 50 punti base fino ai 160 punti base degli AT1. Gli unici a beneficiare delle turbolenze sono stati i nostri titoli sovrani che hanno subito una contrazione di circa 40 punti base, compresi i rendimenti di riferimento dei Bund. Nel complesso, il nostro indice generale ABBB è tornato a 185 punti base, leggermente più ampio rispetto al livello di inizio anno. Tutti gli indici hanno sofferto, anche se i settori tradizionalmente difensivi di trasporti, servizi di pubblica utilità e telecomunicazioni hanno sovraperformato; i ciclici, tra cui i settori immobiliare, bancario e finanziario, hanno invece sottoperformato. Qualcosa è chiaramente cambiato e gli spread creditizi sono di conseguenza più interessanti e si trovano effettivamente molto più vicini a uno scenario ribassista di recessione, in genere nell’ordine di 200 punti base.

Anche se resta da vedere quale tipo di rallentamento dello slancio della crescita si realizzerà, il fatto che gli spread siano trattati vicino ai livelli tipici di un periodo di recessione fornisce un’altra protezione (oltre all’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato di riferimento); inoltre, i fondamentali del nostro universo corporate rimangono solidi, tra cui le banche europee come abbiamo illustrato in precedenza.

Prospettive

Rimaniamo ottimisti sul nostro segmento, che dovrebbe continuare ad offrire rendimenti del carry molto interessanti. Dovremmo evitare una vera e propria crisi finanziaria, dal momento che la Fed dovrebbe tirare il freno e le attuali condizioni di mercato, insieme alla maggiore prudenza delle banche centrali, offrono agli investitori buone opportunità di valore relativo, come evidenziato di seguito, nel caso in cui si fossero lasciate sfuggire il rally di inizio anno.

Procediamo quindi con cautela e siamo pronti ad aumentare le limitate coperture esistenti (future su Treasury e Xover) se dovessero addensarsi nubi più scure sullo slancio della crescita. Tuttavia, il nostro mercato sembra quasi scontare livelli di spread da recessione. I titoli di Stato sono in grado di offrire buone performance dal punto di vista del rendimento complessivo e del ritorno complessivo. Anche gli spread a 180 punti base in media sembrano in fase di stabilizzazione e contrazione di circa 40 punti base rispetto ai livelli attuali in uno scenario di crescita molto debole dell’AE.

Esistono numerose e interessanti opportunità di valore relativo. Il settore bancario europeo senior si sta avvicinando al punto di massima ampiezza, vicino ai 200 punti base, mentre telecomunicazioni, servizi di pubblica utilità e trasporti risultano ancora interessanti intorno ai 150 punti base. Questi ultimi sono più interessanti dei BBB ciclici, dove il premio ciclico è storicamente basso.

A livello subordinato, siamo ancora molto ottimisti e ci aspettiamo che gli spread continuino a recuperare terreno rispetto alle basse valutazioni rilevate a marzo (al momento in cui scriviamo hanno già subito una contrazione di ben 80 punti base). Questo vale soprattutto dal momento che banche come Deutsche Bank hanno annunciato il 23 marzo la call di una delle obbligazioni Tier 2 della banca tedesca a condizioni antieconomiche. Anche Unicredit ha confermato un’imminente call e ha ricevuto l’approvazione della BCE al riacquisto di azioni proprie superiore a 3 miliardi di euro. Queste azioni contribuiranno a ripristinare la fiducia nei confronti del segmento AT1 e a proseguire la ripresa degli spread. Per quanto riguarda gli ibridi industriali, prevediamo che beneficeranno indirettamente della volatilità registrata a marzo dagli AT1 e del crollo di Credit Suisse, in quanto potrebbero essere considerati un’alternativa preferibile agli AT1 per alcuni investitori.

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