Asset allocation: le azioni non sono più l’unica alternativa

Negli ultimi mesi, la situazione sui mercati finanziari è cambiata in modo più radicale rispetto al passato. In un contesto di forte aumento dell’inflazione, le Banche Centrali hanno inasprito notevolmente la propria politica monetaria nell’arco di un periodo molto breve, circa un anno. Ciò è stato accompagnato da tensioni sia sull’economia sia sui mercati. “È proprio questo l’intento dei banchieri centrali: non si può fare la frittata senza rompere le uova. Allo stesso modo, non si può combattere l’inflazione senza rallentare la domanda aggregata”. Ad affermarlo è Jan Viebig, Global Co-CIO di ODDO BHF AM, che di seguito illustra nei particolari la view.

Combattere l’inflazione attraverso la politica monetaria comporta dei rischi. Le banche dipendono in gran parte della trasformazione delle scadenze: raccolgono i depositi a breve termine dei clienti trasformandoli in prestiti e investimenti in titoli con scadenze più lunghe. Questo comporta un rischio di tasso d’interesse per le banche. Infatti, il valore di mercato delle obbligazioni e dei prestiti diminuisce quando i tassi di interesse aumentano. Il crollo della Silicon Valley Bank è un monito: la banca aveva investito gli elevati afflussi dei suoi clienti in titoli a lungo termine, il cui valore è sceso quando i tassi di interesse sono aumentati. La correzione dei titoli a lungo termine ha portato a sua volta a elevate perdite non realizzate, che sono state la rovina della Silicon Valley Bank. Le perdite non realizzate di tutte le banche statunitensi derivanti dalla detenzione di titoli ammontano attualmente a circa 620 miliardi di dollari (fonte: FDIC, alla fine del 2022).

In genere, i rischi di insolvenza aumentano anche quando aumentano i costi di finanziamento. Parafrasando Warren Buffet: “Solo quando la marea si ritira si scopre chi ha nuotato nudo”. Tutti i settori economici con alti livelli di indebitamento sono vulnerabili all’aumento dei tassi di interesse. Per questo motivo, il settore immobiliare è stato recentemente oggetto di attenzione. Negli anni di bassi tassi di interesse i prezzi sono cresciuti rapidamente e l’attività edilizia ha registrato un boom. Questo potrebbe aver incoraggiato eccessi che ora si stanno scontrando con la realtà. In ogni caso, l’aumento dei tassi di interesse rischia di limitare l’attività edilizia perché i progetti diventano poco redditizi o non possono più essere finanziati facilmente. Il periodo di aumento dei prezzi del mercato immobiliare sembra quindi arrivato al capolinea, per il momento. L’indice Case Shiller, che segue l’andamento dei prezzi delle case esistenti nelle 20 città più importanti degli Stati Uniti, mostra un calo dei prezzi di quasi il 7% (fino al gennaio 2023) rispetto al picco del giugno 2022. Una tendenza simile si riscontra anche in Europa. L’indice dei prezzi delle case di Eurostat mostra un calo dell’1,7% per l’area Euro nel quarto trimestre. Per la Germania, i dati mostrano addirittura un calo del 5,9% nella seconda metà dell’anno.

Di conseguenza, gli investitori stanno prestando maggiore attenzione agli strumenti di debito garantiti da immobili. I tassi di default dei titoli garantiti da mutui commerciali (Cmbs) sono ancora bassi, ma negli Stati Uniti si è registrato il caso di alcuni titoli che non potevano più essere garantiti.

L’aumento delle tensioni nel sistema bancario e nel mercato immobiliare indica che la stretta monetaria sta iniziando a fare effetto. Se questo porterà a una recessione è una questione aperta. Per questo motivo, gli operatori di mercato prestano attualmente particolare attenzione alle curve dei rendimenti che, sia negli Stati Uniti sia in Europa, sono invertite: i rendimenti delle scadenze residue brevi (fino a due anni) sono attualmente maggiori di quelli delle scadenze lunghe (ad esempio, dieci anni). Secondo Bloomberg, gli esperti economici stimano attualmente la probabilità di una recessione a una media del 65% per gli Stati Uniti e a poco meno del 50% per l’area euro. Non vediamo però alcun motivo per una situazione “doom & gloom”. I mercati del lavoro su entrambe le sponde dell’Atlantico sono solidi. La disoccupazione è bassa e molti settori dell’economia sono alla ricerca disperata di lavoratori.

Il mantenimento di livelli occupazionali elevati, una crescita salariale decente e forse un po’ di sollievo derivante dal calo dei prezzi dell’energia stanno contribuendo a stabilizzare la fiducia dei consumatori e a sostenere la loro domanda. Inoltre, è molto probabile che i tassi d’inflazione scendano e che il ciclo di rialzi dei tassi d’interesse si concluda, prima negli Stati Uniti e più tardi quest’anno in Europa.

Il quadro per gli investitori nel mercato azionario è quindi contrastante. Le aspettative sugli utili delle aziende si stanno indebolendo e le revisioni al ribasso delle stime sugli utili per l’inizio della stagione dei bilanci dominano il quadro. Inoltre, negli ultimi sei mesi i mercati azionari hanno registrato un forte rialzo e in molti casi i livelli di valutazione sono aumentati. I mercati statunitensi non sono valutati positivamente e riteniamo che anche i mercati europei abbiano perso il loro significativo vantaggio in termini di valutazioni. Infine,  i mercati azionari sono diventati anche meno attraenti rispetto al mercato obbligazionario: i titoli di Stato tedeschi a breve termine offrono un rendimento di circa il 2,5%, le solide obbligazioni societarie in media circa il 4% (BofA ML Euro Corporate Index).

Le azioni non sono quindi più prive di alternative. In quest’ottica, abbiamo modificato il posizionamento sul mercato azionario da “neutrale” a “leggero sottopeso”, il che corrisponde a una moderata riduzione della quota azionaria.

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