Asset allocation, attenzione: i settori a più alta intensità di capitale sono i più esposti all’aumento dei tassi

Ieri, come era nelle attese, la BCE ha alzato i tassi di 0,25 punti base i tre tassi di interesse chiave portando il tasso su operazioni di rifinanziamento principale al 3,75%, quello sulla linea marginale al 4% e quello sulla linea di deposito al 3,25%. La BCE ha anche segnalato che sarebbe necessario un ulteriore inasprimento per domare l’inflazione. Dunque la BCE non si ferma, nonostante l’aumento di 375 puntu dal luglio dello scorso anno.

Anzi la Lagarde ha anche rincarato la dose, dicendo che ci sono ancora grandi rischi all’orizzonte a causa dell’inflazione e che le condizioni finanziarie non sono ancora sufficientemente rigide. Le prospettive di inflazione continuano infatti a essere troppo elevate. E’ vero che l’inflazione complessiva è diminuita negli ultimi mesi, ma le pressioni sottostanti sui prezzi rimangono forti, soprattutto su quelli core. I passati aumenti dei tassi vengono trasmessi con forza alle condizioni finanziarie e monetarie dell’area dell’euro, ma i ritardi e la forza della trasmissione all’economia reale rimangono incerti.

Il rallentamento della dinamica di aumento dopo tre consecutivi di 50 punti base, arriva solo pochi giorni dopo che i dati bancari della zona euro hanno mostrato il più grande calo della domanda di prestiti in oltre un decennio. Ma attenzione, non significa che gli aumenti sono finiti. Si può però affermare che i primi effetti della politica monetaria restrittiva si stanno facendo strada nell’economia reale e che le politiche della BCE stanno ora limitando in qualche modo la crescita.

La BCE sta inoltre diminuendo il portafoglio APP a un ritmo misurato e prevedibile, in quanto non reinveste tutti i pagamenti principali dei titoli in scadenza. Il calo, come noto, ammonta in media a 15 miliardi di euro al mese fino alla fine di giugno 2023.

Per quanto riguarda il PEPP, il Consiglio Direttivo intende reinvestire i pagamenti di capitale dei titoli in scadenza acquistati nell’ambito del programma almeno fino alla fine del 2024. Chiaro che la BCE eviterà che il futuro roll-off del portafoglio PEPP possa creare interferenze con l’orientamento di politica monetaria.

L’obiettivo della BCE è sempre quello: riportare l’inflazione al 2%. Tuttavia, non crediamo che una volta raggiunto (vedremo poi in che modo ci arriveremo) la BCE riporti in negativo i tassi reali attraverso una politica monetaria altamente accomodante. Politiche monetarie espansive, accompagnate dai tassi reali mantenuti negativi per un lungo periodo di tempo, non possono infatti inquadrarsi all’interno di una ordinata crescita economica: sono straordinarie e come tali devono avere una vita breve.

Negli ultimi mesi gli straordinari shock sul lato dell’offerta, associati alle strozzature delle catene di approvvigionamento e alla crisi energetica, si stanno invertendo, fornendo la base per una prospettiva più ottimistica per l’economia dell’intera area euro rispetto a quanto atteso lo scorso autunno. Questo, consente un rafforzamento della fiducia delle imprese e dei consumatori e sostiene i redditi e l’attività economica, riducendo al contempo le pressioni sui prezzi. L’aumento dei salari fornisce tuttavia un ulteriore sostegno alla domanda.

Allo stesso tempo però, il perdurare dell’inasprimento delle condizioni finanziarie, l’apprezzamento dell’euro e il graduale ritiro del sostegno fiscale peseranno sulla domanda aggregata nel medio termine, con una produzione che appare destinata ad espandersi meno rapidamente sia nel 2024 che nel 2025 rispetto al 2023.

La ripresa dovrebbe essere sostenuta dai consumi privati che dovrebbero rafforzarsi con l’attenuarsi dell’incertezza, in particolare per quanto riguarda la sicurezza energetica e con il calo dell’inflazione, che consentirà la ripresa del reddito reale disponibile in presenza di prospettive occupazionali favorevoli.

Una riduzione del risparmio precauzionale dovrebbe essere in parte controbilanciata da tassi di interesse più elevati, con il tasso di risparmio che dovrebbe diminuire solo gradualmente per tornare ai livelli pre-pandemia nel medio termine. Il consistente stock di risparmio in eccesso accumulato durante la pandemia dovrebbe comunque rimanere sostanzialmente intatto (in termini nominali), in parte a causa della sua distribuzione orientata verso le famiglie a reddito più elevato, che hanno una propensione al consumo relativamente bassa.

Non è da escludere che nei prossimi trimestri l’ulteriore inasprimento delle condizioni di finanziamento possa pesare anche sugli investimenti residenziali e commerciali. Le banche, già ben prima delle recenti turbolenze sui mercati finanziari, hanno segnalato un sostanziale inasprimento degli standard creditizi e delle condizioni di prestito alle imprese attraverso la Bank Lending Survey (BLS) della BCE. Riteniamo che a medio termine gli investimenti in immobili commerciali possano risentire in modo particolarmente duro delle condizioni di prestito più restrittive, mentre il forte rallentamento previsto dei prezzi delle abitazioni è atteso ridurre gli investimenti residenziali.

Al contrario, è probabile che gli investimenti delle imprese si riprendano in modo vivace sulla scia dell’aumento della domanda e del rafforzamento della fiducia delle imprese, sostenuti anche dall’impiego dei fondi NGEu. Come noto, le imprese si finanziano principalmente in quattro modi: attingendo agli utili non distribuiti; ottenendo prestiti dalle banche; ottenendo prestiti dai mercati obbligazionari; raccogliendo capitale.

Di norma però, condizioni di finanziamento più severe sono attese avere un impatto maggiore sulle imprese che dipendono fortemente da mezzi di terzi. In particolare, le imprese in fase iniziale prive di patrimonio accumulato e che potrebbero trovarsi in una fase di pre-redditività saranno maggiormente colpite rispetto alle imprese mature che hanno un debito ridotto. Da uno sguardo ai settori, quelli a più alta intensità di capitale saranno più esposti rispetto ai settori a bassa intensità di capitale e ai settori che producono servizi per i quali la domanda è meno sensibile alle variazioni dei tassi di interesse.

Tra le fonti di finanziamento citate, quella che riteniamo sia da privilegiare perché meno costosa rispetto alle altre, è la raccolta di capitale attraverso l’emissione di azioni: in altre parole attraverso una quotazione. Un modo per misurare il costo complessivo di una quotazione è quello di considerare il costo del capitale proprio, che è calcolato come la somma del tasso privo di rischio a lungo termine e del premio per il rischio azionario, ovvero il compenso aggiuntivo richiesto dagli investitori per il rischio di detenere azioni.

Il costo nominale del capitale proprio per le imprese dell’area dell’euro è infatti rimasto contenuto durante la fase di inasprimento della politica monetaria in corso e, nonostante aumenti temporanei nel 2022, si è registrato un calo complessivo di circa 130 punti base dalla fine del 2021: l’aumento dei tassi privi di rischio è stato più che compensato da un premio per il rischio azionario inferiore, che riflette una propensione al rischio di mercato complessivamente positiva.

A cura di Antonio Tognoli, responsabile macro analisi e comunicazione di Cfo Sim

 

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