In vista delle riunioni delle banche centrali che si terranno la prossima settimana, Sean Shepley, Senior Economist e Greg Meier, Director, Senior Economist, Global Economics and Strategy di Allianz Global Investors, si chiedono se la Fed abbia stimolato eccessivamente l’economia. Si tratta di una questione importante poiché ha implicazioni globali.
Allo scoppio della pandemia di Covid nel 2020, chiaramente servivano con urgenza misure volte a sostenere mercati finanziari estremamente disfunzionali e una crescita in caduta libera.
Le banche centrali di tutto il mondo hanno fatto abbondante uso di tutti gli strumenti di politica monetaria a loro disposizione. La Fed ha azzerato i tassi di interesse, lanciato programmi di prestito di emergenza e avviato un quantitative easing (QE) senza limiti, che comprendeva l’acquisto di buoni del Tesoro e titoli garantiti da ipoteca (mortgage backed securities, MBS).
Tali interventi audaci e obbligati sono serviti a ripristinare le funzionalità del mercato e hanno favorito una rapida ripresa dell’attività economica: la recessione da Covid è stata pesante ma di fatto è durata solo 2 mesi. Ora, col senno di poi, ci si chiede se le misure adottate sono state calibrate correttamente e se l’allentamento è stato eccessivo ed è durato troppo a lungo.
Lo schema seguito dalla Fed durante la crisi di Covid è un’evoluzione del piano adottato in occasione della Grande Crisi Finanziaria (GCF). La grande differenza è che la GCF è stata causata dallo scoppio di una bolla nel settore residenziale, mentre per gran parte della pandemia i fondamentali del settore residenziale sono rimasti solidi.
Allora perché tra marzo 2020 e marzo 2022 la Fed ha acquistato MBS per 1.300 miliardi di dollari? In quel periodo, con l’aiuto della Fed, i tassi ipotecari hanno raggiunto i minimi storici e i prezzi mediani delle abitazioni sono saliti del 35%, il rialzo più consistente di sempre in 2 anni (superiore anche agli incrementi registrati durante la bolla dei mutui subprime).
Questo dato ha rilevanza mondiale perché i costi correlati alle abitazioni sono la componente più corposa del paniere dell’inflazione USA. Rappresentano infatti il 40% dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) core. L’impennata dei prezzi delle case durante la pandemia continua a ripercuotersi sull’economia ed è uno dei principali motivi per cui oggi l’inflazione è ancora elevata.
Guardando al futuro, i rischi derivanti dagli stimoli della Fed potrebbero non essere terminati. Potrebbero essere necessari altri 6-12 mesi per valutare appieno l’impatto del rialzo dei tassi più rapido degli ultimi 40 anni. Tuttavia il sistema finanziario ha già subito qualche colpo: 600 miliardi di dollari USA di perdite non realizzate nel settore bancario e tre dei quattro maggiori fallimenti di istituti bancari nella storia degli Stati Uniti
Da un lato la continua e consistente riduzione dell’inflazione aumenta le possibilità di un soft landing degli Stati Uniti. Dall’altro, anche se dopo la prossima settimana la Fed potrebbe porre fine al ciclo di inasprimento dei tassi, i prezzi delle case continuano a salire.
La settimana prossima
Con l’inizio della stagione estiva, alcuni investitori stanno probabilmente ricaricando le batterie con una meritata vacanza. Per coloro che sono ancora al lavoro si apre invece la settimana delle banche centrali. Nei prossimi giorni conosceremo le principali decisioni di Fed (mercoledì), Banca del Giappone (giovedì) e Banca Centrale Europea (BCE, giovedì).
Il presidente della Fed Powell sembra propenso a un rialzo “da colomba”. Forse citerà la continua disinflazione, la resilienza dell’economia e gli effetti cumulativi dell’inasprimento attuato sinora. Stando ai futures sui fed fund, la banca centrale USA potrebbe operare l’ultimo rialzo del ciclo e iniziare a pensare a un allentamento all’inizio del 2024.
Oltre alle decisioni della Fed, gli investitori USA monitoreranno con attenzione anche il PMI manifatturiero in uscita lunedì (per il quale si prevede una contrazione), l’indice dei prezzi delle case Case-Shiller atteso per martedì (per il quale si prevede un nuovo aumento m/m), le stime preliminari sul prodotto interno lordo (PIL) per il T2 2023 che sarà pubblicato giovedì (si attende un rallentamento della crescita) e i dati sul costo del lavoro in uscita venerdì (per i quali si prevede solidità).
Al di là del Pacifico, il governatore della Banca del Giappone (BoJ) Ueda continua a ricevere pressioni circa un eventuale ritocco alla politica di controllo della curva dei rendimenti, dal momento che l’inflazione risulta superiore al target del 2% da oltre un anno. Sembra che i funzionari della BoJ valuteranno possibili modifiche a tale politica proprio questo mese, mentre all’incontro dei G20 di questa settimana Ueda ha minimizzato la cosa. Gli osservatori del Giappone si sintonizzeranno sulla relazione sull’inflazione della città di Tokyo del mese di luglio, che spesso è un’anticipazione dei trend inflazionistici nazionali (giovedì).
Dall’altra parte del mondo, la Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Lagarde ha già dichiarato che “c’è ancora della strada da fare” e che è “altamente probabile” un nuovo rialzo dei tassi a luglio. L’inflazione nell’area euro è scesa da oltre il 10% a meno del 6%, ma resta ben superiore al target del 2% della BCE. I principali dati in arrivo relativi all’Europa sono: PMI del settore manifatturiero (lunedì), indice Ifo delle attese delle imprese tedesche (martedì), indice GfK della fiducia dei consumatori tedeschi (martedì), PIL francese per il secondo trimestre 2023 (giovedì), inflazione CPI in Germania (venerdì) e fiducia nell’economia dell’area euro (venerdì).