Una settimana. è all’incirca questo l’arco temporale più lungo durante il quale non vengono pubblicati nuovi dati e/o notizie negativi circa l’andamento dell’economia cinese. L’ultima è stata quella relativa al mancato pagamento delle cedole da parte del colosso immobiliare Country Garden, che ha trascinato ancora più al ribasso un sentiment generale già fortemente compromesso.
Le preoccupazioni che questa situazione ha creato non si limitano al settore del real estate, ma riguardano l’intero sistema economico e finanziario perché, oltre che nelle abitazioni, si sono riscontrate problematiche anche nel tasso di crescita degli investimenti, nei livelli di produzione industriale e nel crollo dei prezzi nelle vendite al dettaglio.
Soprattutto quest’ultimo aspetto ha spinto la Banca Popolare Cinese a tagliare i tassi d’interesse; una mossa in controtendenza con le altre grandi economie alle prese con un’inflazione molto elevata, che ad alcuni ha ricordato la spirale deflazionistica vissuta dal Giappone nei primi anni Novanta del secolo scorso e altri temono che potrebbe essere il preludio a una crisi finanziaria come quella nata negli Stati Uniti nel 2008.
Ma gli investitori dovrebbero veramente aspettarsi una ripetizione della storia e, quindi, adattarsi di conseguenza? Per rispondere a queste domande, conviene prima esaminare i fondamentali di alcuni aspetti del quadro appena delineato.
Pressione sull’immobiliare
Come noto, il settore immobiliare ha sempre avuto un ruolo centrale nell’economia cinese e, nonostante il crollo di Evergrande e il mancato pagamento dei dividendi da parte di Country Garden accennato in precedenza, è opportuno sottolineare che il processo di completamento di nuove abitazioni sta procedendo bene, con i costruttori, le banche e le autorità locali che sembrano fortemente intenzionati a dare la precedenza a quelle che sono già state vendute.
Tuttavia, come mostrato nel grafico sottostante, la vendita e la costruzione di nuove soluzioni abitative (ovvero di abitazioni che devono essere costruite da zero) sono su livelli estremamente bassi ed è proprio questo che sta mandando in default i costruttori cinesi e sta facendo fortemente preoccupare gli investitori obbligazionari circa la possibilità di assistere a un rimbalzo di queste
Inoltre, questa crisi ha messo sotto pressione anche gli istituti che concedono prestiti, tanto che il trust finanziario Zhongrong recentemente non ha remunerato chi ha acquistato i suoi strumenti di investimento.
Settore finanziario in ribasso, ma non (ancora) in crisi
La debolezza del comparto real estate, la contrazione dell’economia reale, i mancati pagamenti dei fondi fiduciari e lo stress finanziario, hanno portato alcuni a dichiarare che ci troviamo in un “momento Lehman” e che potremmo essere alle porte di una crisi finanziaria. Noi di LGIM, però, riteniamo che la situazione sia ancora gestibile, sebbene errori politici non possano essere esclusi a prescindere. Infatti, anche se i problemi finanziari devono essere tenuti in attenta considerazione perché possono peggiorare molto in fretta e il caso Zhongrong debba essere costantemente monitorato, i livelli di capitalizzazione delle banche locali sono buoni (il rapporto prestito/deposito è circa dell’80%) ed essendo il sistema bancario pubblico, le autorità hanno gioco più facile nel dirigere i flussi di capitali dove ce n’è più bisogno.
Ecco perché riteniamo che la situazione sia ancora molto distante da quella che innescò la crisi del 2008 e il fallimento del noto istituto statunitense. Inoltre, anche il livello minimo delle riserve è alto se comparato a quello di altre grandi potenze economiche (10% vs 5%) e questo garantisce buoni margini di manovra.
Il gioco dell’attesa continua
Per quanto riguarda i prezzi degli asset, gli investitori sperano ancora in uno stimolo economico che risollevi lo status dei mercati finanziari cinesi, probabilmente sollevati dal recente taglio della Banca Popolare Cinese di alcuni tassi d’interesse di 10-15 punti base. Purtroppo, però, questo è l’unico evento della politica monetaria a supporto dell’economia a cui si è assistito fino ad oggi e noi riteniamo che un intervento massiccio del governo centrale non avverrà se non in caso di grave emergenza o prima che si siano tenuti i seguenti eventi:
- La National Financial Work Conference (prevista per settembre o comunque nel quarto trimestre)
- La Terza Sessione Plenaria (in programma a ottobre)
- Il meeting del Politburo (sempre programmato per ottobre).
Tuttavia, anche a seguito di questi, riteniamo che la lotta contro le disparità di reddito e il fatto che questa è uno dei punti principali della lotta contro la speculazione immobiliare impedirà ai prezzi delle attività di andare incontro a rialzi considerevoli. Probabilmente, gli stimoli economici finora sono stati modesti anche per questo motivo.
Sfide e opportunità nel lungo periodo
Fino ad ora ci si è concentrati esclusivamente sulla situazione attuale della Cina e su quali misure le autorità potrebbero adottare nell’immediato per risollevarla. Ma cosa comporta questa nel lungo periodo per il Dragone? In generale, riteniamo che le condizioni di stress attuali segnino la fine di un periodo di forte crescita, con l’economia che inizia a risentire di squilibri presenti da molti anni, ma che fino a ora non erano stati impattanti. Una situazione non dissimile da quella osservata in Giappone e Corea del Sud nei primi anni Novanta. Tuttavia, questo non significa che la situazione sia totalmente negativa e che lo scoppio di una bolla porti per forza a una crisi finanziaria ed è proprio il Giappone che ce lo ha insegnato. Inoltre, se il Paese del Sol Levante è riuscito a evitare una crisi, la Cina ha ancora più possibilità dato che può fare affidamento su un sistema bancario interamente in mano allo stato e che le imprese emergenti che sono attive nella produzione di veicoli e di beni elettronici stanno continuando a crescere nonostante le difficoltà dell’immobiliare.
Ma quindi cosa succederà alla Cina?
Che la Cina stia affrontando una transizione tutt’altro che facile è acclarato: dopo un lungo periodo di sovrainvestimenti, in particolare in ambito abitativo, è probabile che la crescita si attesterà attorno alla metà di quella osservata nei 15 anni prima della pandemia di Covid-19 e su questo punto le somiglianze con il Giappone, che dopo lo scoppio della bolla negli anni Novanta passò da un tasso del 5% a uno del 2,5%, sono innegabili.
Tuttavia, anche se questo passaggio a un modello di crescita inferiore sarà probabilmente doloroso, è comunque una transizione che il paese può gestire, visto che le autorità resteranno vigili e pronte ad agire qualora la situazione dovesse peggiorare.
Pertanto, se è vero che la Cina potrebbe replicare quanto fatto dal Giappone in passato, riteniamo ancora prematuro e fuori luogo i paragoni con la crisi finanziaria degli Stati Uniti nel 2008, che poi è ciò che gli investitori temono realmente.
A cura di Ben Bennett, Head of Investment Strategy and Research di LGIM