Investimenti, inflazione: attenzione a una possibile seconda ondata

La pubblicazione dei nuovi dati sull’inflazione della scorsa settimana ha rivelato la vulnerabilità dell’economia nei confronti dei capricci dell’inflazione. Mentre l’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC) dei servizi si è mantenuto costante, i guadagni dei prezzi del petrolio hanno fatto risalire nuovamente i livelli di inflazione nominale.

“Sebbene una seconda ondata inflattiva rimanga una possibilità, è ancora più importante che gli investitori si adeguino alla realtà di un declino non lineare e lento dell’inflazione, unito a una crescita più lenta che potrebbe durare fino al 2025″. L’avvertimento arriva da Gianluca Ungari, Head of Portofolio Management Italy di Vontobel, che di seguito illustra nei particolari la view.

Dopo una leggera ritirata, l’inflazione negli Stati Uniti è tornata a farsi sentire in agosto, passando dal 3,2% di luglio al 3,7% annuo, mancando le aspettative dello 0,1%. L’inflazione di fondo è diminuita leggermente, ma continua a rappresentare la maggior parte delle tendenze inflazionistiche. L’energia continua ad esercitare una pressione disinflazionistica, ma in misura minore, dato che i prezzi del petrolio continuano a salire.

Di fronte a questa tendenza le preoccupazioni sono più o meno giustificate. Il petrolio è salito notevolmente negli ultimi tempi a causa di uno squilibrio tra l’aumento della domanda annuale e la contrazione dell’offerta, dato che l’economia globale è ancora alle prese con il soddisfacimento dell’eccesso di domanda post-pandemia e con un forte consumo. Nonostante i vari venti contrari all’economia, come l’aumento dei tassi d’interesse e l’inflazione, molte economie hanno registrato un’attività robusta che alimenta la domanda di petrolio e prodotti petroliferi. Allo stesso tempo, l’OPEC+ ha limitato l’offerta riducendo la produzione per sostenere il mercato contro possibili flessioni e tagli dei tassi di crescita che molti Paesi dovranno affrontare nei prossimi mesi, in quanto gli effetti della politica monetaria continuano ad accumularsi. Pertanto, è possibile un ulteriore rialzo dei prezzi del petrolio, mentre il ribasso è protetto non solo dall’OPEC, ma anche dal governo statunitense, che intende ricostituire le sue riserve di emergenza di petrolio un po’ alla volta, puntando a un prezzo intorno ai 70 USD, che essenzialmente fornisce un altro strato di sostegno a un possibile prezzo minimo.

Pertanto, il petrolio potrebbe effettivamente rappresentare una minaccia per le tendenze disinflazionistiche a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi, considerando che è stata proprio la componente energetica a contribuire maggiormente alla disinflazione negli ultimi mesi.

Inoltre, e forse ancora più importante, l’IPC dei servizi continua a dimostrarsi straordinariamente solido a causa della resilienza dei consumatori, anche se ha subito qualche arretramento. I salari e gli alloggi sono le due componenti più rigide dei servizi, nel senso che una volta raggiunti livelli elevati, è difficile che si spostino. Le spirali salariali sono particolarmente nefaste per le economie che vogliono combattere l’inflazione. Sebbene i mercati del lavoro si siano un po’ allentati negli ultimi tempi, la disoccupazione è ancora ai minimi storici e le banche centrali sono tutt’altro che soddisfatte e vorranno vedere segnali più marcati di raffreddamento prima di mollare la presa. Poiché molte trattative sindacali sono ancora in corso in settori importanti di Paesi sviluppati, come il settore automobilistico negli Stati Uniti, le spirali prezzo-salario potrebbero ancora svilupparsi e approfondirsi, aumentando le pressioni inflazionistiche nei mesi a venire.

Un interrogativo altrettanto pressante è quello di stabilire quale sarà il nuovo tasso d’interesse di equilibrio, dato che le banche centrali continuano con una politica monetaria restrittiva.

Il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo del 2% di inflazione appare sempre più improbabile nel breve, rendendo più probabile una revisione dell’obiettivo al 3-4%. In questo contesto, gli investitori stanno modificando le loro aspettative sui tassi, eliminando tagli dei tassi per il prossimo anno e contando invece su di essi solo a partire dal 2025. Non a caso, giovedì scorso la Banca Centrale Europea ha aumentato i tassi di altri 25 punti base, ha tagliato le aspettative di crescita e ha alzato le prospettive di inflazione per il 2023/2024, indicando un rallentamento della crescita che potrebbe durare fino al 2025. Per quanto riguarda la Federal Reserve, è molto dubbio che possa davvero adottare un atteggiamento attendista quando si muoverà sui tassi questa settimana, visti gli ultimi dati.

Nel complesso, l’energia rimarrà un jolly e i servizi probabilmente intraprenderanno un cammino in discesa piuttosto che una tendenza lineare e rapida al ribasso, il che rende possibile un rialzo dell’inflazione. Anche se saranno improbabili picchi a una o due cifre, anche i rialzi più piccoli potrebbero spaventare i mercati, quindi è meglio prepararsi alla possibilità di uno sprint della volatilità.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!