Il 2023 doveva essere l’anno della recessione causata dall’azione ultra-restrittiva delle Banche Centrali ed invece le principali economie hanno assorbito senza particolari problemi l’aumento dei tassi. Con l’inflazione in rallentamento, molti prevedono per il 2024 un soft landing accompagnato da un alleggerimento delle politiche monetarie, in particolare da parte di Fed e Bce. Sarà davvero così? Ecco di seguito la view di Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR.
Il 2023 sta per giungere al termine e, pur con tutta la scaramanzia del caso, possiamo dire che è stato un anno migliore di ogni previsione. Con i tassi ufficiali americani passati da 0,25% a 5,5% in 15 mesi, la recessione sembrava scontata. Invece, complice le ingenti manovre fiscali espansive attuate sia negli Stati Uniti sia in Europa, i consumi hanno tenuto bene malgrado la corsa dei prezzi e i margini aziendali sono cresciuti a livelli record. I principali mercati azionari, escluso quello cinese, hanno recuperato tutta (Europa e Giappone), o in buona parte (Stati Uniti), la debacle del 2022. Per il mercato obbligazionario è stato, invece, un altro anno complicato con continui cambi di direzione e, fino a qualche settimana fa, ancora con un trend negativo.
Il mese di novembre ha rappresentato il giro di boa con forti guadagni in tutte le aree geografiche su aspettative di riduzione dei tassi nel 2024. Le previsioni di sei tagli da parte della Fed che il mercato sta prezzando in questo momento, a dire il vero, ci sembrano eccessive e, soprattutto, non conciliabili con uno scenario di soft landing. L’inflazione diminuisce, ma lentamente; lo stesso dicasi per il mercato del lavoro che mostra i primi segnali di flessione dopo aver raggiunto livelli mai visti in precedenza.
Ad esempio, i Jolts americani, ovvero le offerte di lavoro aperte dalle aziende che ancora non hanno trovato una controparte, dopo aver raggiunto i 12 milioni ad inizio 2022 sono scese agli attuali 8,7 milioni. Si tratta certo di un calo consistente ma il livello attuale resta più elevato di tutti quelli registrati prima della pandemia. Difficile quindi pensare che in queste condizioni la Fed porti i tassi al 3,5% già il prossimo anno, con il rischio di ritrovarsi nella imbarazzante condizione di dover fare un’inversione a U di fronte a nuove fiammate inflattive.
Nell’ultima riunione del Fomc è stata aperta la porta a tre tagli per il 2024, nei prossimi trimestri vedremo forse più chiaramente le conseguenze su consumatori e imprese della stretta monetaria fin qui attuata; è possibile che, col venir meno degli aiuti fiscali e con l’esaurimento dei risparmi accumulati durante i lockdown, ciò che era atteso per il 2023 si presenti magari sul finire del prossimo anno.
La speranza è che la traiettoria dell’inflazione prosegua nella giusta direzione, come prospettato da Powell, così che Fed e Bce possano ammorbidire il rallentamento economico allentando la stretta monetaria senza gettare nuovo carburante sul focolare dei prezzi.
Se così sarà, il 2024 vedrà la ripresa del comparto obbligazionario, con probabile irripidimento delle curve dei rendimenti che torneranno inclinate positivamente. Diversamente potremmo andare incontro a una fase di stagflazione, ma al momento non ci sono segnali che facciano presagire un quadro del genere.