L’Arabia Saudita punta a diversificare l’economia dai combustibili fossili, sviluppando in particolare le esportazioni non petrolifere. I cambiamenti sono iniziati sotto il precedente re Abdulaziz, ma hanno subito un’accelerazione da quando principe Mohammed bin Salman è diventato principe ereditario nel 2017, di fatto subentrando al padre, re Salman. Attualmente, Mohammed bin Salman è il primo ministro e presidente del consiglio saudita per gli affari economici e lo sviluppo, nonché la forza trainante dei cambiamenti avvenuti nel paese negli ultimi anni, in grado di avviare un rapido susseguirsi di riforme.
In questo scenario, ecco di seguito la view in ottica di investiemnti di Laurence Bensafi Portfolio Manager, Deputy Head of Emerging Market Equities, RBC Emerging Markets Equity di RBC BlueBay.
Il piano Vision 2030 prevede riforme di carattere economico e sociale. Su quest’ultimo fronte, molti cambiamenti sono già avvenuti e sono di ampia portata, dai diritti delle donne, alla promozione dell’esercizio fisico e del benessere. In termini di riforme economiche, il piano mira a svincolare l’economia dai combustibili fossili, sviluppando in particolare le esportazioni non petrolifere, localizzando la produzione di settori chiave, conseguendo il 35% del Pil dalle PMI e sviluppando attività di intrattenimento, nonché il turismo locale ed estero, fino a raggiungere il 10% del Pil, dall’attuale dato del 3,6%. Il Public Investment Fund, il braccio governativo incaricato di finanziare le iniziative correlate a Vision 2030, attualmente gestisce attività nell’ordine di 700 miliardi di dollari.
Gli investimenti nel turismo e nelle infrastrutture
L’obiettivo per il turismo è particolarmente ambizioso, in quanto il paese mira a diventare una delle prime cinque destinazioni al mondo. Nel Mar Rosso, per esempio, è prevista la costruzione di 50 resort di lusso con prestigiose catene alberghiere mondiali. Il primo, Southern Dunes, che fa capo al brand di resort di lusso Six Senses, è stato inaugurato nell’ottobre di quest’anno.
Vision 2030 prevede otto progetti giganteschi, tra cui la costruzione di nuove città da zero, per una spesa totale di 1.000 miliardi di dollari. Per finanziare questo piano, il paese sta aprendo le porte agli investimenti stranieri, in particolare attraverso le privatizzazioni e le riforme sui mercati azionari e del debito. Un’altra serie di riforme chiave hanno avuto luogo tra il 2021 e il 2022: le riforme giudiziarie, che hanno effettivamente creato un quadro di riferimento che non si rifà alla Sharia, e un insieme coerente di regole, procedure affidabili e codificazione delle leggi. Queste riforme sono fondamentali per lo sviluppo di un settore privato solido e per attrarre investimenti.
Una società in fermento
Diversi sondaggi hanno mostrato che la modernizzazione della società saudita è sostenuta dalla stragrande maggioranza dei cittadini del Paese. L’Arabia Saudita ha primeggiato su decine di altri Paesi in un sondaggio condotto da Ipsos alla fine del 2022, da cui è emerso che il 91% dei cittadini riteneva che il Paese stesse andando nella giusta direzione. È interessante notare da un punto di vista di investitori azionari dei mercati emergenti, altri due Paesi in via di sviluppo si sono piazzati in cima alla classifica: l’Indonesia (78%) e l’India (72%).
Le tre principali università di Riyadh sono miste e l’obiettivo dichiarato è quello di aiutare le donne a raggiungere una posizione paritaria nella società. Attualmente, le donne saudite rappresentano il 34% della forza lavoro totale. Cinque anni fa, erano solo il 17,4%. Rispetto a un dato corrente del 41% in Italia, ad esempio. Il 60% delle donne saudite occupate ha iniziato a lavorare negli ultimi due anni e il 60% di quelle ancora disoccupate prevede di lavorare nel prossimo biennio. Le donne sono anche incoraggiate a lavorare per contribuire alla “sauditizzazione” della società, un altro obiettivo chiave di Mohammed bin Salman.
Man mano che il Paese si è arricchito, grazie ai proventi del petrolio, un numero crescente di posti di lavoro è stato occupato da espatriati disposti a lavorare più ore e per una paga inferiore. Dei 36 milioni di abitanti, il 42% non è saudita, e il gruppo più numeroso di stranieri proviene da Bangladesh, India, Pakistan e Yemen. Prevediamo che la popolazione di espatriati cambierà, e a trasferirsi nel Paese sarà un maggior numero di colletti bianchi (soprattutto dai mercati sviluppati), così da sfruttare le opportunità create.
Il ruolo delle multinazionali
Nell’aprile 2023 sono state annunciate quattro Zone Economiche Speciali, che si prefiggevano di localizzare le catene di approvvigionamento e creare posti di lavoro in loco. Sono rivolte alle multinazionali, che possono godere di esenzioni fiscali pluriennali, prezzi energetici agevolati, normative di sostegno per attrarre e trattenere talenti stranieri e, aspetto fondamentale, per il 100% di proprietà straniera.
Vision 2030 mira a far crescere la popolazione a un tasso annuale composto del 4,4%, fino a sfiorare i 50 milioni di abitanti entro il 2030. Una popolazione più numerosa e diversificata, con redditi più elevati, sospingerà un incremento delle abitudini di consumo sia per i servizi sia per i beni. La popolazione è giovane, con un’età media di 30 anni, e urbanizzata, dato che l’85% degli abitanti vive nelle città. Una recente indagine di JP Morgan Research ha rilevato che il 98% dei cittadini sauditi prevede di incrementare le proprie spese nei prossimi 12 mesi, destinandole in particolare a istruzione, turismo e viaggi, prodotti alimentari e beni in generale.
I rischi per lo sviluppo
Il rischio principale per il Paese è un improvviso cambio di leadership, che potrebbe determinare un ritorno a una società più conservatrice, oltre che fermare il progetto Vision 2030. Un crollo del prezzo del petrolio rappresenterebbe inoltre una sfida per finanziare questi giganteschi progetti pubblici. Attualmente, il prezzo del petrolio per far sì che l’Arabia Saudita possa raggiungere un breakeven è pari a circa 80 dollari. Un prezzo più basso per un periodo prolungato implicherebbe un ridimensionamento di questi ambiziosi piani. I rischi di esecuzione sono elevati; abbiamo visto in passato che la costruzione di grandi infrastrutture in tempi rapidi tende a subire ritardi e non possiamo escludere il rischio che lo stesso accada per l’Arabia Saudita.
Da ultimo, nonostante i recenti cambiamenti, l’Arabia Saudita rimane agli ultimi posti in termini di criteri ESG e diritti umani e molti investitori vogliono vedere ulteriori progressi prima d’incrementare significativamente la loro esposizione verso il Paese. L’Arabia Saudita è sulla strada giusta e speriamo che i cambiamenti positivi a cui stiamo assistendo proseguiranno.