Investimenti: ecco cosa imparare dalle precedente elezioni Usa

Henry Nelville, Portfolio Manager di Solutions presso Man Group

Nonostante il numero di tornate elettorali Usa non sia tale da consentire di esprimere pareri di una certa purezza statistica, guardando ai rendimenti reali annualizzati delle diverse asset class e delle principali strategie azionarie sulla base del partito che ha detenuto la presidenza negli ultimi 100 anni, si nota che i mercati azionari statunitensi hanno fatto meglio sotto i Democratici e quelli obbligazionari sotto i Repubblicani.

La percezione è che il partito repubblicano sia costituito da “falchi” fiscali, con l’obiettivo di pareggiare il bilancio e che sui democratici si possa fare affidamento quando si tratta di spendere ingenti somme di denaro. È superfluo sottolineare come in molti casi ciò non si sia dimostrato assolutamente vero – l’ultimo presidente a produrre un avanzo di bilancio è stato Clinton – ma è una bella storia e, in una certa misura, il mercato ci crede.

Osservando altri asset, le materie prime sovraperformano durante le amministrazioni Democratiche, coerentemente con la narrativa della generosità fiscale. Strategie basate sul “momentum”, avendo caratteristiche difensive, sono più forti negli anni repubblicani, adattandosi al quadro di maggiore avversione al rischio di questo partito.

La differenza fra vittorie scontate e vittorie di misura

L’andamento delle azioni e delle obbligazioni Usa è relativamente simile per entrambi i partiti sia prima sia dopo vittorie elettorali conseguite con facilità. Quando la vittoria è scontata, ha senso che non ci siano grandi stravolgimenti. È interessante notare come le obbligazioni Usa si muovano all’opposto di ciò che abbiamo rilevato in precedenza: deboli in occasione delle grandi vittorie repubblicane, forti durante le disfatte democratiche.

In un’elezione incerta è più probabile che la bilancia del mercato penda in un senso o nell’altro una volta definito il risultato. L’esempio della borsa Usa all’indomani delle vittorie di misura dei Democratici è particolarmente degno di nota, con un movimento dal 2% al 31%.

Come detto, l’andamento delle commodity, in media, è migliore durante le amministrazioni Democratiche: i primi giorni della presidenza Democratica sono particolarmente buoni, con rendimenti del 33% nelle vittorie risicate e del 22% in quelle ampie. Forse ciò riflette la propensione dei Democratici ad annunciare grandi programmi infrastrutturali all’inizio del loro mandato.

In secondo luogo, si noti che il segmento Value Usa tende a registrare una forte performance nei sei mesi successivi ad un’elezione, indipendentemente da chi vince e con quale margine. Sospettiamo che questo fenomeno faccia parte del rally dovuto al sollievo che segue la transizione pacifica del potere, vento nelle vele delle caratteristiche cicliche delle strategie Value.

La Borsa Usa sale quasi sempre prima delle elezioni

Guardando l’andamento giornaliero dell’azionario americano sei mesi prima e dopo le elezioni possiamo fare tre osservazioni: in primo luogo, i titoli azionari Usa sono saliti in termini nominali nei sei mesi precedenti le elezioni in tutti i casi tranne uno, con l’unica eccezione della prima vittoria di Obama, sullo sfondo della crisi finanziaria globale.

In secondo luogo, l’azionario Usa sale anche nella stragrande maggioranza dei casi durante i sei mesi successivi al voto. In particolare, solo in sei dei 24 casi (25%), la borsa Usa è scesa nel semestre successivo al risultato e in tutti questi sei casi erano presenti alcune circostanze che potremmo definire attenuanti.

Infine, la volatilità tende a diminuire durante e dopo le elezioni, ma tende ad essere più alta prima e dopo le tornate elettorali vinte dai Democratici. In termini mediani, la volatilità azionaria è stata del 12,4% sei mesi prima delle elezioni, per poi scendere di 100pb all’11,4% il giorno del voto e di altri 50pb, al 10,9%, nel semestre successivo. Questa tendenza nel suo complesso si è invertita in occasione delle vittorie risicate dei Democratici quando la volatilità è scesa dal 13,2% all’11,1% durante le elezioni, per poi risalire al 12,4% in seguito. L’andamento di calo generale delle standard deviation si adatta alla narrativa dei rally di sollievo post-elettorale man mano che il mercato acquisisce chiarezza sul destino politico dei successivi quattro anni.

Senza nessuna velleità di saper prevedere il risultato delle elezioni americane, osserviamo oggi alcuni fatti concreti: attualmente i margini fra i due candidati sono stretti. Se Biden dovesse perdere, si unirebbe ad una lista relativamente esigua di presidenti che hanno perso l’elezione per il secondo mandato. Supponendo che non si verifichi una recessione nei prossimi sei mesi, si unirebbe al club ancora più esclusivo di coloro che hanno perso senza che vi fosse una recessione economica.

Ciò porterebbe ad adottare posizioni lunghe sul segmento obbligazionario e sulle strategie basate sul “momentum” andando verso il voto; per poi acquistare titoli azionari, value e materie prime dopo le elezioni.

Ma forse la conclusione più ovvia è che i precedenti storici ci dicono che è necessario cercare altrove se vogliamo capire quale sia il catalizzatore per un sell-off del mercato azionario Usa. Il mercato è in rialzo quasi sempre prima e di solito anche dopo.

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