H2O AM: mercati emergenti, dinamiche in evoluzione

“Stiamo assistendo a un vero e proprio ritorno dei mercati emergenti nelle allocazioni”. Parola degli esperti di H2o AM, che di seguito spiegano nei particolari la view.

La politica monetaria si concentra sul controllo dell’inflazione mentre la politica fiscale definisce le orientazioni di crescita di un’economia. In questo contesto, la politica monetaria e fiscale formano un tandem il cui obiettivo è raggiungere un policy-mix efficiente e anticiclico. In pratica, raggiungere questo equilibrio è più complesso.

Gli elettori, viste le conseguenze del Covid e le ripercussioni del conflitto russo-ucraino sui prezzi dell’energia, sono ora molto meno disposti a sostenere le misure di prudenza fiscale. Tra la gente prevale la convinzione che gli eventuali shock economici futuri potranno essere affrontati varando nuove misure di sicurezza sociale, spingendo così indirettamente i politici a implementare altri stimoli fiscali.

Di conseguenza, i consumatori si stanno dimostrando meno interessati ad accumulare risparmi significativi, e ciò si traduce in un aumento della domanda interna e in un’inflazione strutturale. Questa tendenza è particolarmente marcata negli Stati Uniti.

Le recenti iniziative di spesa fiscale nelle economie sviluppate non fanno presagire un’inversione di tendenza a breve termine, tanto più che il 2024 sarà un anno di elezioni in tutto il mondo. Visto l’imperversare dei conflitti si prevede l’aumento delle spese per la difesa. Per poter finanziare la transizione ecologica sono necessari sviluppi infrastrutturali significativi e incentivi ottenibili principalmente attraverso l’intervento statale. Infine, le crescenti disparità economiche accentuano le politiche pro-sociali, orientando le campagne delle piattaforme economiche verso una maggiore spesa fiscale piuttosto che verso impegni di contenimento del bilancio.

In questo contesto, in che modo i decisori politici possono orientarsi nel mix di politiche prescritte dalla teoria economica convenzionale?

Il rischio della dominanza fiscale

A livello macroeconomico non notiamo squilibri di bilancio tra gli agenti privati, ovvero famiglie e aziende, nonostante il recente rialzo dei tassi di interesse. Di conseguenza, il rischio di una recessione improvvisa è basso.

Tuttavia, queste condizioni favorevoli non si sono verificate spontaneamente. Le misure protettive varate durante il Covid hanno comportato un trasferimento sostanziale del debito dalle entità private al settore pubblico (si veda il grafico). Contestualmente si è cercato di rianimare il settore privato con consistenti iniezioni di liquidità tramite, ad esempio, misure di allentamento quantitativo, mantenendo condizioni di finanziamento finanziarie favorevoli durante l’intera fase di ripresa.

Oggigiorno i responsabili della politica monetaria hanno il compito di supervisionare e il policy mix, mentre i funzionari governativi, nonostante siano alle prese con livelli di indebitamento senza precedenti, non sembrano interessati a un aggiustamento fiscale.

È quindi in atto un dibattito sempre più animato sulla capacità di banche centrali come la Federal Reserve, la Banca centrale europea o la Bank of England di rimanere indifferenti all’andamento del debito pubblico visto il ruolo chiave dei tassi di interesse e della crescita nell’equazione della sostenibilità del debito. Viene quindi messa in dubbio la loro capacità di portare avanti una politica monetaria indipendentemente dai vincoli di bilancio.

In questa situazione di dominanza fiscale, le politiche di bilancio hanno precedenza sulle politiche monetarie. In definitiva, la funzione di reazione delle banche centrali si sta spostando gradualmente verso la gestione del rischio per evitare eccessivi rallentamenti macroeconomici, potenzialmente a discapito del contenimento dell’inflazione. Questo trend crea uno scarto crescente tra la percezione degli investitori, che si riflette nei prezzi di mercato, e le previsioni degli economisti riguardo alla politica, perché l’obiettivo delle banche centrali diventa meno normativo.

Il quadro delineato può essere applicato alla maggior parte delle economie dei G7, con l’eccezione significativa del Giappone che presenta una dinamica economica peculiare. Tuttavia, all’interno del gruppo dei Paesi del G7, sono presenti nette differenze.

I Paesi dell’Unione Europea stanno affrontando problemi di indebitamento di diversa portata, con la Germania che sta adottando una politica di bilancio più conservatrice rispetto ad altri Paesi della stessa area. Inoltre, la crescita potenziale del PIL nell’area dell’Euro rimane contenuta ed è meno trainata dall’innovazione rispetto agli Stati Uniti. Viste le previsioni nella regione di una crescita inferiore al potenziale, visto il continuo rallentamento dell’aumento dei salari e viste le pressioni sull’inflazione indotte soprattutto dall’offerta (ad esempio prezzi degli alimentari e dell’energia), la Banca centrale europea Viste le previsioni nella regione di una crescita inferiore al potenziale, visto il continuo rallentamento dell’aumento dei salari e viste le pressioni sull’inflazione indotte soprattutto dall’offerta (ad esempio prezzi degli alimentari e dell’energia) la Banca centrale europea si aspetta di incontrare minori ostacoli nel taglio dei tassi di interesse rispetto alla Federal Reserve.

Il Regno Unito si colloca in una posizione intermedia all’interno di questo scenario, con un profilo economico più ciclico rispetto all’area dell’euro, ma con una maggiore vulnerabilità dovuta al suo vasto fabbisogno finanziario, compresi il deficit di bilancio e il deficit delle partite correnti. Di conseguenza, il Regno Unito deve attirare flussi di capitale tramite tassi di interesse più alti o misure che incentivino una crescita robusta malgrado livelli di indebitamento già elevati. Nel complesso, le politiche monetarie dei Paesi del G7 devono quindi sottostare alle deboli prospettive di crescita e/o ai problemi di finanziamento.

La situazione potrebbe ancora evolversi favorevolmente per gli Stati Uniti se lo shock di produttività in corso, guidato dall’innovazione, sarà duraturo.

Gli aumenti di produttività hanno per loro natura un effetto deflazionistico e supportano la crescita, dotando potenzialmente la Federal Reserve di margini sufficienti per tagliare i tassi di interesse senza accrescere i timori sulle pressioni inflazionistiche. Questo scenario “Goldilocks” rievoca alla mente il vigoroso aumento della produttività degli anni Novanta scatenato dall’avvento del web; quel periodo fu caratterizzato da una crescita robusta, priva di pressioni inflazionistiche o salariali significative. E se da un lato è ancora troppo presto per dire se questo trend troverà conferma, dall’altro lato la sua materializzazione fornirebbe un supporto significativo agli attivi rischiosi e al mercato in generale. Anche se la sfida immediata del finanziamento del debito potrebbe non scomparire del tutto ma essere rinviata alla prossima recessione economica.

In ogni caso i mercati emergenti si trovano in una posizione favorevole

Molti argomenti depongono a favore del ragionamento per cui le banche centrali delle economie sviluppate adotteranno un approccio accomodante sia per facilitare il finanziamento del debito pubblico, sia per la natura non inflazionistica della crescita sostenuta dall’innovazione.

Date le previsioni di un allentamento delle condizioni finanziarie, è naturale che il capitale si riversi verso il resto del mondo mentre gli investitori sono alla ricerca di opportunità più interessanti. Nell’attuale panorama degli investimenti i Paesi emergenti, pronti a cogliere i benefici di numerosi fattori di rinforzo, si trovano nella posizione ideale per attirare questi afflussi di capitale, in primis perché molti di loro

sono riusciti a evitare le vulnerabilità debitorie, attuando politiche di maggior restrizione fiscale e monetaria durante il periodo del Covid.

Tra i Paesi emergenti, quelli che producono materie prime si distinguono grazie alla loro esposizione vantaggiosa al ciclo prevalente che favorisce la crescita nominale e che ha implicazioni costruttive per i prezzi delle commodity.

In questo contesto, i mercati emergenti ciclici (ovvero i Paesi dell’America latina e i Paesi centrali dell’Unione europea) dovrebbero continuare a vedere sostenuti i loro termini di scambio e il conseguente ciclo di retroazione positivo, in cui i forti ricavi delle esportazioni di materie prime alimentano gli investimenti e i consumi interni, dovrebbe supportare la crescita dell’economia.

Dopo un decennio di difficoltà economiche, i Paesi emergenti presentano ora, nel panorama post-Covid, un profilo di rischio relativo migliore, come evidenziato anche dall’appeal crescente dei trend di rilocalizzazione (near/friendshoring) in Paesi come il Messico che stanno attraendo sempre più investimenti diretti esteri. Gli aumenti di produttività derivanti dai nuovi investimenti rafforzeranno la competitività di questi Paesi e sbloccheranno un potenziale finora inutilizzato.

Il divario in termini di premio per il rischio tra economie sviluppate ed emergenti sta ora convergendo a favore di queste ultime, con una traiettoria che dovrebbe sfociare nella sovraperformance relativa delle loro valute, obbligazioni e azioni.

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