Nuovi temi di investimento alla guida dei mercati globali

“Da oltre mezzo secolo l’inizio di un nuovo decennio coincide con un cambio di leadership sui mercati azionari globali”. A farlo notare è Frédéric Leroux, membro del comitato strategico d’investimento e responsabile del cross asset di Carmignac, che di seguito spiega nei particolari l’affermazione e le implicazioni per gli investimenti attuali.

Nel 1980, nove delle dieci maggiori capitalizzazioni di mercato a livello globale erano statunitensi, di cui sei erano compagnie petrolifere. L’inflazione aveva raggiunto il livello massimo dopo quindici anni di trend al rialzo alimentato dall’aumento dei prezzi del petrolio, che le compagnie petrolifere statunitensi erano riuscite ad arrestare in quell’anno dopo diversi anni di massicci investimenti nella prospezione petrolifera.

Nel 1990, l’economia giapponese aveva registrato una ripresa straordinaria, creando le condizioni per una bolla immobiliare e finanziaria tra le più estreme della storia. Metri quadrati di uffici erano passati di mano a oltre 200.000 dollari, il rapporto prezzo/utili dell’intera Borsa di Tokyo superava i 60, e i Van Gogh più belli a livello mondiale erano appesi ai muri delle banche e delle abitazioni dei miliardari giapponesi. Otto delle dieci società più grandi a livello globale erano giapponesi, di cui sei erano banche.

Nel 2000, Internet era esclusivamente statunitense e faceva sognare il mondo intero. Per questo settore, i mercati ragionavano in termini di multipli di fatturato a medio termine. Sette delle dieci maggiori capitalizzazioni erano statunitensi, di cui quattro appartenenti al settore tecnologico, con l’aggiunta di due società giapponesi e una tedesca appartenenti al settore delle telecomunicazioni. Tutti i titoli tecnologici subirono un forte deprezzamento nei tre anni successivi. Amazon perse quindi il 95% del suo valore prima di diventare il colosso che conosciamo oggi. Chi si ricorda di Lucent Technologies, nona capitalizzazione a livello mondiale all’inizio del millennio, e attualmente incorporata in Nokia?

Nel 2010, era lecito ipotizzare che la Cina sarebbe diventata la prima potenza mondiale; una compagnia petrolifera e due banche figuravano nella top 10, prima che l’universo emergente avviasse una lunga fase di sottoperformance, tuttora in atto, rispetto ai paesi sviluppati.

Nel 2023, come nel 2020, il dominio è tornato a essere statunitense e tecnologico; l’intelligenza artificiale è ormai il principale driver di questa dinamica e soltanto TSMC, società di Taiwan, e Tencent, azienda cinese, sono riuscite a inserirsi tra le società leader statunitensi, ma in fondo alla classifica.

Come ci fanno notare i colleghi di Gavekal Research1, all’interno di questa ciclicità decennale entrano in gioco due alternanze: un’alternanza tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, e un’alternanza tra tematiche di crescita (growth) e tematiche più cicliche, o value, che potrebbero indurre a ritenere che il prossimo picco non sarà statunitense e avrà una struttura ciclica.

Quale scenario si può prevedere per giustificare un tema globale che favorisce le aziende cicliche, o value, con esclusione degli Stati Uniti, nel decennio attuale?

Per rispondere a questa domanda, bisogna tornare al 1972. In quell’anno i più importanti titoli growth statunitensi, i “Nifty Fifty”2, raggiunsero i livelli massimi sovraperformando di molto il resto del mercato azionario statunitense dalla fine degli anni ’50. Subirono, tuttavia, una forte correzione verso la fine della fase inflazionistica tra il 1965 e il 1969 prima di tornare a registrare un’impennata sino alla fine del 1972, quando una seconda ondata di inflazione, innescata dallo shock petrolifero del 1973, pose bruscamente fine alla supremazia dei “Nifty Fifty”. Se sostituiamo la supremazia dei “Nifty Fifty” negli anni ’60 con quella dei titoli FANG nel decennio 2010, l’ondata di inflazione del 1965-1969, che innescò la brusca correzione dei “Nifty Fifty”, con l’inflazione del 2020-2022 che provocò il forte calo dei titoli FANG nel 2022, e se infine sostituiamo il rally del 1969-1972 con quello del 2023-2024, ci troviamo di fronte a un’analogia interessante.

La sequenza logica di questa analogia implicherebbe la comparsa di una seconda ondata di inflazione, che potrebbe innescare il cambiamento tematico previsto, rispettando allo stesso tempo l’alternanza Stati Uniti/resto del mondo e quella titoli growth/titoli ciclici, o value. Un seconda ondata di inflazione potrebbe infatti penalizzare le valutazioni elevate attraverso il moltiplicarsi dei suoi effetti sui tassi di interesse a lungo termine, e danneggiare maggiormente il mercato statunitense che ospita la maggior parte delle società non cicliche caratterizzate da crescita e valutazioni elevate.

Il risveglio del Giappone, il rimbalzo atteso della Cina, l’accelerazione dell’India, le criticità dell’equazione energetica, la deriva di bilancio degli Stati Uniti, possono condurre verso tematiche e aree geografiche alternative alle mega capitalizzazioni statunitensi del settore tecnologico in senso lato, contribuendo allo stesso tempo alle pressioni inflazionistiche.

La debolezza del dollaro indotta dalla deriva di bilancio statunitense favorirebbe una rivalutazione in dollari dei titoli azionari non americani. Ma da qui a prevedere il sorpasso delle mega capitalizzazioni statunitensi da parte di imprese di altri Paesi entro la fine del decennio, c’è un abisso che non osiamo ancora superare, soprattutto poiché la tecnologia avanzata e la solidità finanziaria consentono a tali aziende di far fronte al rallentamento globale che si sta delineando in condizioni invidiabili.

Riteniamo che la probabilità di una seconda ondata di inflazione (un’ipotesi che presenta i suoi vantaggi) sia abbastanza verosimile e rappresenti una fonte d’impatto tale da tenerne conto all’interno di una strategia globale di portafoglio, attraverso la graduale implementazione della diversificazione tematica e geografica a favore dei settori della “old economy” e delle aree geografiche trascurate. Con la massima serenità, diamoci un appuntamento tra sei o sette anni per valutare la fondatezza della diversificazione suggerita, basata soltanto sulla constatazione di una ciclicità piuttosto consolidata, anche se dalle origini misteriose.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!