La scorsa settimana lo scivolone di Nvidia ha condizionato i mercati azionari su entrambe le sponde dell’Atlantico.
“Simul stabunt aut simul cadent”, nella prima fase è stato l’intero settore tecnologico a trainare il mercato, poi sono state le Magnifiche Sette e, in ultimo, c’è un uomo solo al comando, il gigante dei microprocessori che detta il ritmo al quale far ballare i mercati.
Eppure, l’avanzamento nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale non è una narrazione esclusiva degli Stati Uniti o delle economie avanzate; non vale neppure la regola che l’“early adopter” vince tutto. La diffusione dell’Intelligenza Artificiale è un fenomeno che coinvolge anche i Paesi del sud del mondo, “potrebbe aumentare la produttività e ridurre i divari nel capitale umano più velocemente” scrive l’Economist.
Nell’evoluzione delle economie avanzate il progresso tecnologico ha fortemente contribuito ad aumentare la produttività, il benessere, i livelli del reddito; parimenti, le applicazioni dell’intelligenza artificiale potrebbero portare benefici trasformativi anche nei Paesi emergenti e in via di sviluppo, ad esempio nell’aumentare i livelli dell’istruzione e nel migliorare l’assistenza sanitaria, le due grandi precondizioni per il progresso. Precondizioni che accelererebbero il recupero dei divari con le economie avanzate.
In Brasile si stanno sviluppando sistemi di intelligenza artificiale che siano di ausilio ai medici con minore esperienza, in India i ricercatori stanno lavorando a sistemi di AI linguistici per aiutare gli agricoltori analfabeti e i servizi di back office forniti ai grandi gruppi internazionali, nei paesi del Golfo vengono messi a punto modelli in lingua araba.
“Anche se il Sud globale non scalzerà la corona dell’America, potrebbe trarre ampi benefici da tutte queste competenze” conclude il rapporto dell’Economist e, nonostante molto della rivoluzione dell’AI sia ancora incerto, “non c’è dubbio che la tecnologia avrà molti usi e che non potrà che migliorare”.
I venti contrari dell’ultimo periodo, la forza del dollaro, la debolezza del commercio globale, le tensioni geopolitiche, hanno raffreddato l’interesse per i Paesi emergenti ma l’avanzamento tecnologico fornisce una buona ragione per tornare a guardare in quella direzione. La prima metà dell’anno è stata decisamente negativa, le valute emergenti sono state spinte all’ingiù dalla sorprendente forza del dollaro e dalla riformulazione delle aspettative sui tagli dei tassi negli Stati Uniti.
Anche la contrazione degli scambi internazionali non ha aiutato. Il valore del commercio mondiale di merci è in continuo calo dalla metà del 2022 ed è rimasto debole anche nel 2023, con una ulteriore contrazione del 5%. La crescita del volume del commercio di merci è invece rimasta leggermente positiva, la domanda globale dei beni importati ha sostanzialmente tenuto.
Ma da qui a fine anno si prevede una ripresa del commercio mondiale, soprattutto se comincerà il ciclo di allentamento dei tassi di interesse; la spinta iniziale dei flussi commerciali nei primi mesi dell’anno può essere attribuita al destoccaggio delle scorte che si sono accumulate in seguito alle interruzioni della catena di approvvigionamento nel 2021 e 2022. Restano una sfida le persistenti tensioni geopolitiche e l’aumento del costo delle spedizioni.
Esistono profonde differenze tra aree geografiche, singoli Paesi, sistemi politici ed economici, la debolezza dell’area asiatica riflette le condizioni dell’economia cinese, i Paesi dell’America Latina beneficiano dell’economia degli Stati Uniti, in particolare Messico e Brasile.
In questi anni molte economie emergenti hanno migliorato il loro profilo di affidabilità finanziaria, è diminuita l’esposizione al dollaro, molti paesi hanno bilance commerciali con saldi positivi, il ciclo delle materie prime gioca a favore dei Paesi esportatori.
La nostra assunzione di lungo termine resta positiva, nei Paesi emergenti si concentra la popolazione mondiale, hanno dalla loro il dividendo demografico, l’intensa urbanizzazione, da anni sono uno dei motori della crescita globale e, aspetto di cui un investitore deve tener conto, sono sottorappresentati negli indici azionari.
A favore dei mercati emergenti possono giocare anche gli errori del mercato nelle previsioni su tassi e inflazione. L’inflazione scende, lentamente e modo discontinuo ma scende. È una condizione che consentirà alle banche centrali di abbassare i tassi di interesse e sostenere gli asset rischiosi, tra questi le azioni e le obbligazioni emergenti.
L’ipotesi prevalente del soft landing è congruente con una Fed dubbiosa e con un rallentamento dell’attività economica non troppo accentuato per mettere a repentaglio gli asset di rischio, ma sufficiente a giustificare la moderazione delle politiche monetarie. C’è valore reale nelle obbligazioni emergenti, i loro rendimenti sono alti se confrontati con la loro storia.
A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR