Recovery Fund: perchè l’Italia rischia più di tutti

Slitta proposta su Recovery Fund

In attesa, se e quando verrà approvato, di valutare l’efficacia della proposta di Recovery Fund che la Commissione Ue avrebbe dovuto inviare oggi all’Eurogruppo (invece se ne parlerà tra non prima di una o due settimane, per cercare di trovare la necessaria unanimità di consensi), ogni stato membro Ue continua a fare da sé in materia di aiuti alle imprese, in una sorta di “liberi tutti” che rischia di aggravare ancor di più le differenze tra stato e stato.

Fare ognuno per sé avvantaggia solo i più forti

Ciò porterà, in assenza di correttivi, ad ulteriore incremento del peso economico di chi come Olanda e Germania può varare prestiti per decine o centinaia di miliardi di euro a favore di nuovi investimenti delle imprese e ad una contrazione di quello chi come l’Italia (ma anche la Spagna e in parte Francia) fatica a trovare alcuni miliardi di euro per sostenere le spese legate all’emergenza da coronavirus e non sembra voler ricorrere a strumenti come l’Esm/Mes caldeggiati in vece dall’ex premier e attuale commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni.

Debito/Pil italiano rischia di esplodere

Dall’inizio della crisi la Ue ha già dato via libera ad aiuti di stato per 1.900 miliardi di euro in totale, decisi da 26 stati della Ue (più la Gran Bretagna). Di queste misure, il 52% riguardano la sola Germania. Se non ci sarà alcune forma di mutualizzazione dei debiti (cui si oppongono i paesi “frugali” del Nord Europa) l’Italia rischia di ritrovarsi con un debito/Pil attorno al 160%, la Francia al 130%-140%, mentre la Germania non andrebbe oltre il 70%-80%. Con simili squilibri, il mercato unico potrebbe frantumarsi definitivamente.

Italia in (s)vendita? Il rischio esiste

A quel punto la Germania e gli altri “frugali” potrebbe comprare interi pezzi delle sue catene di fornitura o mercati di sbocco nei paesi più disastrati, in base alla convenienza delle sue aziende. Una prospettiva che a molti ricorda quanto già visto in Grecia dopo la disastrosa crisi del debito sovrano. Anche in quel caso la “colpa” di Atene era, come per Roma, Parigi e Madrid adesso, quella di non aver per tempo messo in ordine i propri conti.

Molti gli errori di cui dolersi

Peccato che l’Italia negli ultimi 25 anni abbia in realtà registrato un avanzo primario di bilancio (ossia al netto degli interessi sul debito), di fatto operando un consolidamento fiscale molto superiore a quelli di Olanda e Germania, con effetti depressivi sulla crescita economica. Anche così l’aver dilapidato il tempo comprato in questi ultimi anni dalla Bce di Mario Draghi, varando misure populiste e non tagliando la spesa improduttiva così da ridurre in modo più incisivo deficit e debito pubblico, rischia di rivelarsi un errore strategico fondamentale e già oggi costringe Roma a sperare in un aiuto da Parigi e Madrid che potrebbe non bastare né essere privo di costi.

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