Accordo sul petrolio: festeggiano le Borse, tremano gli automobilisti

Ha stupito anche i più ottimisti l’accordo OPEC, che ha fatto balzare le quotazioni del petrolio del 9%, portando quelle del Brent tra i 52 e i 53 dollari e del Wti americano a ridosso dei 50 dollari al barile. Le quotazioni sono sui massimi dell’anno, quando le speranze sembravano essere svanite sul raggiungimento di un’intesa tra i 14 membri del cartello, responsabili di oltre un terzo dell’offerta mondiale. Ma cosa ha convinto l’Arabia Saudita a decidersi finalmente ad assecondare le richieste degli alleati per un taglio della produzione, dopo averle respinte per oltre due anni? I bassi prezzi di questi ultimi tempi hanno provocato enormi disagi alle finanze statali dei principali produttori mondiali, specie a economie come Russia, Arabia Saudita, Venezuela, Nigeria, tra le maggiori dipendenti dal petrolio. Se fosse solo questa la spiegazione, sarebbe molto parziale. I sauditi dispongono, infatti, di riserve valutarie prossime a 600 miliardi di dollari, in grado di coprire il disavanzo fiscale di quasi 100 miliardi dello scorso anno per almeno altri sei esercizi. E senza tenere conto di altre opzioni disponibili, come la svalutazione del cambio e l’IPO di Aramco, il colosso energetico statale, stimato in non meno di 2.000 miliardi di dollari.

Sarebbe stata convenienza dei sauditi prolungare la crisi attuale, in modo da portare sull’orlo del baratro i principali concorrenti, aumentando le proprie quote di mercato. Tuttavia, i bassi prezzi creano problemi alla produzione nel lungo termine. Secondo Wood Mackenzie, dal 2015 al 2020, gli investimenti nel settore petrolifero diminuirebbero di 740 miliardi, rispetto alle stime effettuate nel 2014, prima del crollo delle quotazioni.

Quando i prezzi del petrolio sono più bassi, viene meno l’incentivo delle compagnie ad investire per la ricerca di nuovi pozzi, dato che sale la quantità di petrolio, che pur disponibile, non sarebbe conveniente estrarre, in quanto il costo tenderebbe a superare i ricavi. Ma un taglio eccessivo degli investimenti implica una produzione futura più bassa e potenzialmente una carenza di offerta, tale da fare impennare le quotazioni.

Ma una riduzione delle quote di produzione porterà anche  all’innalzamento del prezzo del petrolio e quindi dei suoi derivati come la benzina. E come sapete gli aumenti dei carburanti non aspettano le nuove forniture ma alla pompa aumentano all’istante. Così le Borse festeggiano, ma gli automobilisti un po’ meno.

FONTE: www.investireoggi.it

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