Non tutto il “Trumpismo” viene per nuocere…

Vi proponiamo un brano della rubrica “Il rosso e il nero” dell’analista Alessandro Fugnoli, che produce un’analisi interessante e controcorrente del nascente Trumpismo.

 

“…Una globalizzazione gestita male, come ben sappiamo in Italia, può essere distruttiva se il paese che la subisce è poco flessibile. Trump, ideologicamente, non è protezionista e il timore dei mercati obbligazionari sulle conseguenze inflazionistiche della sua politica sono eccessivi. Trump ha certamente un mandato da parte degli elettori degli stati di vecchia industrializzazione (determinanti nel farlo vincere in novembre e decisivi nel farlo eventualmente rieleggere nel 2020) di fermare l’emorragia di fabbriche e posti di lavoro. Il ritorno dal Messico al Michigan causerà certamente un forte aumento del costo del lavoro per dipendente, ma molti lavoratori saranno sostituiti da robot che non sarebbe economico utilizzare in Messico. In pratica si avranno più investimenti in tecnologia e più produttività e gli aumenti dei prezzi finali saranno limitati. Se così sarà, si può obiettare, verranno messi sotto pressione i margini delle imprese. Vero, ma fino a un certo punto. Ci sarà infatti uno scambio. L’industria dell’auto che ritorna a casa vedrà ridotta la pressione dei regolatori sull’efficienza energetica. Il farmaceutico che dovrà competere per le commesse di Medicare cederà pricing power al governo, ma avrà in cambio un’accelerazione e semplificazione del costoso iter per l’approvazione dei nuovi farmaci, quelli su cui fa tipicamente più utili. I contratti con le imprese della difesa verranno tutti rinegoziati con ampi tagli dei prezzi, ma in cambio le commesse aumenteranno. Solo banche ed energia riceveranno (attraverso deregulation e tasse più basse) più di quello che dovranno concedere….”.

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