Fregati dall’inflazione. Ma Draghi non cascherà nel tranello perché…

Il mandato alla BCE era chiaro. Comprare titoli di Stato dei Paesi europei almeno finché l’inflazione non sarà ripartita. E ora è successo. L’inflazione in Germania è salita al 2,2% a febbraio dall’1,9% di gennaio, ai massimi da quattro anni e mezzo e superando il target fissato dalla BCE, di poco inferiore al 2%. In Spagna, l’inflazione è salita al 3%, quando fino a pochi mesi fa la quarta economia dell’area era in deflazione. In Italia, la crescita dei prezzi è stata meno sostenuta, pari all’1,5% a febbraio, mentre nell’intera Eurozona potrebbe essersi attestata già al 2%.

Inoltre il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ha avvertito che la crescita annuale dei prezzi nel 2017 nell’Eurozona potrebbe risultare “di gran lunga superiore a quella stimata” da Francoforte, pari all’1,3%.

Il problema però è che in gran parte d’Europa, e in modo particolare in Italia, l’inflazione non è tanto dovuta tanto a un aumento della domanda (un’inflazione “sana”) quanto all’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi e dei generi ortofrutticoli a causa del maltempo.

Per i banchieri, però, i numeri sono numeri e un’inflazione sopra il 2% nell’Eurozona dovrebbe indurre Mario Draghi a dire al al piano di Quantitative Easing. E allora sarebbero dolori per paesi come l’Italia che si troverebbero drammaticamente a fare i conti con il proprio debito pubblico senza più l’ombrello della BCE. Cosa farà Draghi, si lascerà convincere dai falchi tedeschi o procederà ancora per qualche tempo con il QE in attesa che l’inflazione prenda una piega più “strutturale”?

A far proseguire il QE almeno fino alla fine del 2017 non saranno tanto le condizioni economiche dell’Eurozona quanto quelle politiche: con le elezioni alle porte di Olanda, Germania e Francia e con l’Italia in totale confusione, Draghi non può permettersi di fare “scherzi” e in casi come questi anche i falchi si vestono da colombe.

 

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