L’Italia in tavola torna a piacere agli investitori

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di Luca Spoldi 11 Ottobre 2019 | 10:58

Ripartono fusioni e aquisizioni nel food italiano

Il settore alimentare e bevande italiano è da anni uno dei preferiti dei grandi fondi di private equity mondiali e secondo quanto riferisce la stampa potrebbe a breve essere protagonista di una nuova stagione di operazioni straordinarie. Anzitutto Cgr (Compagnia generale ristorazione), dal 2015 di proprietà di Bc Partners, che ne rilevò l’85% da L Capital e Paladin Capital Partners (il rimanente 15% è tuttora in amno al fondatore Marco Di Giusto e ad altri investitori), potrebbe nuovamente passare di mano.

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Il gruppo, che lo scorso anno ha registrato 482 milioni di ricavi con marchi come Tamakinho, Old Wild West, American Graffiti, Pizzikotto, Weiner Haus e Shi’s (ma di recente è entrato nel gruppo anche la startup torinese Pony Zero, specializzata nella distribuzione ecologica sull’ultimo miglio), dovrebbe valere non meno di 700 milioni di euro. Prima che la ventilata chiusura domenicale dei centri commerciali facesse mettere in stand-bye l’operazione, Carlyle, Permira e Onex erano stati indicati come potenziali acquirenti.

Anche Farnese Vini potrebbe passare di mano

Un altro dossier “caldo” sembra essere quello di Farnese Vini, dal 2016 di proprietà di Nb Renaissance che secondo indiscrezioni di stampa avrebbe affidato un mandato esplorativo alla banca d’affari Lazard per la ricerca di un acquirente. L’azienda abruzzese a cui fanno capo i marchi Caldora, Feudi di San Marzano, Vesevo, Vigneti del Vulture e Vigneti Zabu era stata ceduta dalla 21 Investimenti di Alessandro Benetton sulla base di un enterprise value di circa 70 milioni di euro. Il fatturato 2018 ha sfiorato i 75 milioni di euro con un Ebitda di oltre 15 milioni: numeri che potrebbero piacere sia a fondi di private equity sia ad altri concorrenti operanti nel settore enologico.

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