Il futuro del greggio tra l’aumento della produzione USA e i tagli OPEC

a cura di Francesco Palmisano Head of sales EXANTE

Il prezzo del greggio è sotto pressione ormai da qualche settimana, i futures dell’oro nero (WTI e Brent) hanno chiuso in lieve rialzo lo scorso venerdì, ma la settimana è terminata comunque in calo. I future sul WTI con scadenza a giugno hanno terminato la sessione a 46,22$ al barile, in rialzo di 0,70$, pari all’1,54%. I future sul Brent con scadenza a luglio hanno invece chiuso la settimana a 49,10$ al barile, in rialzo di 0,72$, pari all’1,49%.

Da giorni ormai le quotazioni del greggio riescono a fatica a superare i 50$ al barile; le speranze di un futuro aumento dei prezzi risiedono oggi:

  • negli accordi tra i paesi OPEC e non-OPEC che tendono a limitare la produzione di greggio;
  • nella diminuzione della produzione di scisto USA;
  • in un improvviso aumento della domanda che possa dipendere da un evento geopolitico mondiale o da una repentina crescita economica dei paesi;

Tralasciando l’ultimo punto in quanto troppo aleatorio e quindi poco prevedibile, proviamo ad approfondire i primi due per capire in che modo potrebbe muoversi prossimamente il mercato.

Il lieve rialzo dei prezzi di venerdì scorso, in chiusura di sessione, è frutto delle dichiarazioni positive dell’Arabia Saudita sul fatto che i tagli alla produzione, introdotti dai Paesi OPEC nel Novembre del 2016 e che coinvolgono anche paesi non OPEC come la Russia, dovrebbero comunque essere prorogati anche per tutta la restante parte di questo 2017. Su tale questione ne sapremo sicuramente di più il 25 Maggio, quando a Vienna si riuniranno paesi OPEC e non per decidere appunto se prolungare o meno l’accordo oltre Giugno.

L’aumento della produzione di scisto negli USA è sicuramente la causa principale del crollo dei prezzi del greggio. Harold Hamm, CEO di Continental Resources, in una conferenza tenutasi una settimana fa, aveva ribadito ai produttori Americani (come fatto anche in passato) di limitare le estrazioni per evitare un crollo dei prezzi; nessuno per il momento sembra però averlo ascoltato. Il numero degli impianti attivi di trivellazione negli Stati Uniti è salito la scorsa settimana, per l’ennesima volta quest’anno, di altre 6 unità; un aumento che dura ormai da 11 mesi e che ha eguagliato i massimi dell’agosto del 2015.

Un prolungamento dell’accordo tra i paesi OPEC e non, finalizzato a diminuire le scorte mondiali di petrolio, genererebbe sicuramente un rialzo delle quotazioni del greggio almeno in un primo momento, ma non è detto che questa decisione possa sostenere il mercato del petrolio per un lungo periodo; il crescente aumento dei prezzi potrebbe spingere l’industria di estrazione Statunitense ad aumentare ancora le trivellazioni, con le quotazioni che si ristabilirebbero così ai livelli iniziali. Per avere un quadro più approfondito sarebbe utile quantificare il livello di incidenza dei costi all’aumentare della produzione, poiché solo un aumento dei costi potrebbe rallentare le produzioni statunitensi.

Intanto nella giornata di ieri il prezzo del greggio ha oscillato tra lievi rialzi e ribassi, sia nel mercato Statunitense che in quello Britannico, facendo pensare che la notizia sull’aumento delle trivellazioni USA ha pesato maggiormente rispetto a quella di un possibile prolungamento dei tagli alla produzione dei paesi OPEC e non.

Questa settimana infine sarà densa di appuntamenti per gli investitori.

Nella serata di oggi L’American Petroleum Institute pubblicherà il report settimanale sulle scorte di greggio, mentre domani la U.S. Energy Information Administration rilascerà il report settimanale sulle scorte di greggio e benzina; giovedì l’OPEC rilascerà il bollettino mensile sull’andamento del mercato del greggio e venerdì Baker Hughes rilascerà i dati settimanali sul numero degli impianti di estrazione attivi negli Stati Uniti.

 

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