Pir, rischi e opportunità dopo una partenza a razzo

A cura di Guglielmo Manetti, Vice Direttore Generale di Intermonte Advisory e Gestione
Scrivevamo il 18 gennaio scorso in un nostro Focus dedicato che ritenevamo i PIR come un’ottima opportunità per investire in una asset class di eccellenza: le mid-small caps italiane. In quel contesto, ritenevamo le stime ufficiali del governo (18 mld di euro di raccolta in 5 anni e solo 1.8 mld di euro nel 2017) eccessivamente conservative.

A poco più di quattro mesi da allora, dopo che i dati ufficiali di Assogestioni indicano una raccolta di circa 3 mld di euro nei primi 4 mesi, il governo ha appena rivisto le stime ufficiali sulla raccolta dei fondi PIR per quest’anno da 1,8 mld di euro a 10 mld di euro e sono nati 38 nuovi fondi, di cui solo 15 provenienti dalla conversione di fondi già esistenti. Di questi il 42% (16 fondi) investono solo in equity ed hanno un benchmark azionario italiano, con una componente su mid-small caps più o meno accentuata.

Il successo di questa iniziativa del governo, che finalmente allinea l’Italia alle best practice di altri paesi europei in materia di risparmio di lungo periodo, ha già avuto un impatto significativo sul comparto delle mid- small caps italiane, che hanno beneficiato di un’ottima performance da inizio anno battendo l’indice di riferimento FTSE MIB di quasi 15 punti percentuali.

Ftse Mib Pir dati

In questo report analizziamo l’universo di riferimento delle mid-small caps italiane con un approccio quantitativo, per capire quali sono i rischi, ma anche le opportunità, che si trovano davanti gli investitori per cercare di capire se si è già creata una bolla oppure no.
Come sono state impattate le mid-small caps? La nostra metodologia di analisi
Nell’approcciare l’universo investibile delle mid-small caps abbiamo utilizzato i seguenti criteri:

  • Abbiamo individuato un universo di 249 società, escluse quelle del FTSE MIB e quelle del settore immobiliare, che non rientrano nell’universo investibile PIR per una capitalizzazione totale di 111 mld di euro circa
  • Abbiamo incluso anche le 74 società dell’AIM, che non avevamo incluso nella nostra prima analisi
  • Le abbiamo divise in 4 gruppi uguali (4 quartili da 62 società ciascuno) classificati per capitalizzazione e/o liquidità media giornaliera a 1 mese

Su questi 4 gruppi abbiamo poi effettuato diverse analisi statistiche su base di performance, liquidità e presenza di stime/copertura da parte dei broker.

Abbiamo analizzato le performance del nostro panel di mid-small caps per quartili (ovvero 62 società per quartile su 248 totali) classificandole sia per capitalizzazione che per volumi medi giornalieri scambiati. I risultati dell’analisi sono riassunti nella tabella di seguito.

Performance Pir

risultati possono essere così riassunti:
– Le mid-small caps dei primi 2 quartili (ovvero il primo 50% del nostro panel, misurate per capitalizzazione e/o volumi medi giornalieri scambiati) sono quelle che hanno offerto mediamente la performance mediana migliore da inizio anno a oggi.
– Le società del 4° quartile sono quelle che hanno avuto la performance più bassa del gruppo.
Approcciando però tali risultati con una metodo più statistico, abbiamo analizzato quale è la dispersione di queste performance intorno al loro valore medio, ovvero quanto siano più o meno volatili le performance dei titoli nei singoli quartili rispetto alla performance media del cluster. Per maggiore significatività, nella nostra analisi abbiamo considerato i quartili classificati per liquidità dei titoli e non per capitalizzazione.
I risultati, esposti nei 4 grafici qui sotto, possono essere così riassunti:

  • Le società del primo quartile sono quelle che offrono una distribuzione a campana della performance la più “normale” possibile rispetto alla performance media del cluster. In pratica, acquistando una delle 62 società del gruppo avrei avuto la maggiore probabilità di avere una performance vicina a quella della media
  • Nessuno degli altri 3 quartili ha offerto una distribuzione di performance altrettanto ordinata. In pratica la generazione di performance in questi gruppi era più legata alla scelta del titolo rispetto ad un acquisto indiscriminato di tutti i titoli del paniere.

La conclusione di questa analisi è che da inizio anno il mercato ha chiaramente favorito le mid-small caps di maggiori dimensioni e, soprattutto, più liquide. Investire nei 3 quartili meno liquidi ha invece comportato rischi maggiori rispetto al rendimento medio, ma anche ritorni più alti con uno stock picking corretto.

Un secondo passo della nostra analisi è stato quello di verificare quale sia oggi il grado di copertura del comparto da parte di broker, e qui i risultati sono stati particolarmente sconfortanti.
La metodologia usata per questa analisi è stata la seguente:

  • Abbiamo lavorato sulle stime di consensus, usando la banca dati Factset
  • Il panel di riferimento è esattamente lo stesso usato per le altre analisi, ovvero 248 società mid-small caps non incluse nel paniere dell’indice FTSE MIB, compresi i 74 titoli quotati sull’AIM
  • Dato che i dati sulla copertura dei broker tendono ad essere abbastanza confusi e si prestano ad
    interpretazioni soggettive, per qualificare la copertura o meno di una società, abbiamo considerato come copertura “attiva” quella in cui ci sia almeno una stima di utile per azione (EPS) pubblicata negli ultimi 6 mesi. in pratica, consideriamo una società coperta da analisi quella dove almeno una volta negli ultimi 6 mesi sia stata pubblicata una stima di EPS. Ad andare oltre i 6 mesi si fa fatica a pensare che sia una copertura veramente efficace ed attiva della società.

I risultati dell’analisi sono contenuti nella tabella di seguito, e mostrano una situazione particolarmente interessante ai nostri occhi:

  • Solo il 25% (61 in tutto) delle società del panel è coperta da almeno 3 broker
  • Il 35% del panel (86 società) ha al massimo 2 stime aggiornate
  • Ben il 41% del panel (102 società) non ha neanche una stima reperibile aggiornata negli ultimi 6 mesi
  • Ci sembra una rappresentazione abbastanza sconfortante dell’universo investibile da parte dei nuovi fondi PIR, ma per noi, che siamo da lungo tempo osservatori della realtà del mercato azionario italiano, non è purtroppo sorprendente. I motivi di questa bassa copertura del mercato delle mid-small caps italiane sono per noi riassumibili così:
  • Massiccio disinvestimento da parte delle case di ricerca globale sull’Italia negli ultimi anni: per motivi noti l’Italia è stata oggetto di massicci disinvestimenti da parte dell’industria finanziaria. Il mercato italiano è tra i peggiori performer, il paese resta a rischio a causa del debito elevato, il rischio politico è sempre imprevedibile e la crescita economica è ben sotto le medie europee. A fronte di questo generale basso appeal del paese, l’ingente risparmio degli italiani ha fatto invece la fortuna di moltissime case di investimento estere che hanno fatto raccolte record negli ultimi anni. Una situazione altamente opportunistica: non voglio investire in Italia ma mi voglio prendere il risparmio degli italiani…
  • Atteggiamento “mordi e fuggi” da parte di molte investment bank: nei rari casi in cui c’è stato un qualche investimento da parte delle investment bank globali sul mercato azionario Italiano è stato quasi solo in occasione di interessanti e remunerative IPO. L’obbiettivo era quello di incassare le fee di collocamento con lo sforzo minore possibile di supporto agli investitori post-IPO in termini di ricerca ed analisi che supportasse l’investimento iniziale anche negli anni successivi.
  • L’attività di ricerca è costosa e la pura intermediazione sempre meno remunerata: questo è un trend purtroppo non solo italiano. La tendenza a pagare sempre meno la ricerca (con le fee di intermediazione sempre più basse e la gestione passiva che sembra essere l’unico modo efficiente di fare gestione) ha colpito in maniera crescente la capacità di fare ricerca sul mercato azionario in maniera economica. Questo trend è ancora più doloroso per le società mid-small caps, con scambi e volumi ancora più rarefatti e quindi economicamente ancora meno convenienti.

Nella nostra analisi di gennaio 2017 scorso evidenziavamo come a fine settembre 2016, secondo la classifica Assogestioni le masse qualificate in fondi puri azionari Italia ammontavano a soli 10 mld di euro (meno del 1% degli asset totali gestiti dall’industria).
Ancora più interessante era l’analisi su dati Morningstar, che evidenziava come i fondi azionari Italia a fine 2016 erano 39, di cui solo 16 gestiti da società italiane. Di questi solo 5 (!!!) avevano un benchmark esplicito su mid- small caps italiane e, non sorprendentemente, nessuno di questi fondi apparteneva a una società estera.

In conclusione: malgrado aver offerto ottime performance, le mid-small caps italiane sono state negli ultimi 5/7 anni una nicchia quasi per “amatori” dove solo pochissimi broker e case di investimento domestiche hanno mantenuto un investimento adeguato.

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