Studi di settore addio? Bene solo se le tasse vanno giù

a cura di Cgia Mestre

Secondo le disposizioni previste nel decreto che contiene la manovra correttiva attualmente in via di approvazione in Parlamento, la rottamazione degli studi di settore scatterà dal prossimo anno.
Dopo 18 anni di vita, sono poco più di 3,5 milioni le partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore  attivati dall’Amministrazione finanziaria. E oltre il 73 per cento dei contribuenti (pari a 2,6
milioni di attività) è congruo, ovvero rispetta le richieste avanzate dall’Amministrazione finanziaria in materia di ricavi. Questi contribuenti, tuttavia, rimangono ancora nel mirino del fisco visto che ogni anno rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore risultino

soggetti fedeli al fisco. Nel 2016, infatti, sono stati poco meno di 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.
Negli anni gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal
1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei
redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all’erario.
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