Mercati emergenti: da sfatare le leggende sui mercati di frontiera

Di Carlos Hardenberg,  Managing Director di Templeton Emerging Markets Group

Circolano varie leggende metropolitane sui mercati di frontiera (il sottogruppo meno sviluppato dell’universo dei mercati emergenti). Riteniamo che queste leggende possano aver indotto gli investitori a trascurare tali mercati a favore delle alternative costituite dai mercati sviluppati od emergenti tradizionali. Crediamo che ora siano mature le condizioni per rivalutare quest’importante nicchia. Vi sono alcune ragioni molto convincenti che dovrebbero indurre gli investitori a riprendere oggi in considerazione i mercati di frontiera, che possono essere sintetizzate nel modo seguente e che spiegherò poi in maggiore dettaglio.

Prima di tutto, vediamo però quali sono queste leggende metropolitane sui mercati di frontiera. Le più ricorrenti sono l’illiquidità percepita, la bassa capitalizzazione di mercato e gli standard di corporate governance inferiori. Ciascuna di tali “accuse” può essere vera se si guarda soltanto ad una cerchia ristretta di mercati, ma se si valutano le opportunità globali nel segmento di frontiera (come facciamo noi) si acquisisce a nostro giudizio un contesto migliore. Sebbene ogni fornitore di indici fornisca definizioni diverse per “mercato di frontiera”, non ci atteniamo a tali definizioni o vincoli. Ciò ci lascia maggiore libertà di esplorare opportunità al di là di un particolare benchmark, evitando al contempo alcune di tali limitazioni. In senso lato, per mercati di frontiera intendiamo mercati recenti o giovani, che si trovano in una fase di sviluppo economico iniziale rispetto ai mercati emergenti di maggiori dimensioni e che hanno in generale tassi di crescita più elevati, un grado inferiore di copertura in termini di ricerca e meno investimenti esteri. Secondo la nostra analisi, il volume giornaliero degli scambi sulle borse dei mercati di frontiera è di 2,1 miliardi di dollari statunitensi. Di conseguenza, la liquidità è più elevata di quanto molti pensino. Analogamente, stimiamo che la capitalizzazione totale di mercato delle società di frontiera sia di 1,7 trilioni di dollari statunitensi. Tendiamo inoltre a ritenere che tale cifra continuerà ad aumentare, dato che sul mercato entrano costantemente nuove società.

Gestione attiva come propulsore di una buona governance

Quanto alle preoccupazioni per la corporate governance nei mercati di frontiera, sosteniamo quella che riteniamo l’influenza positiva della gestione attiva. Se si esamina lo sviluppo dei mercati emergenti in generale negli ultimi decenni, si nota che la relazione tra proprietà e gestione è stata importante. Crediamo che gran parte dei cambiamenti positivi sia scaturita dalla stretta collaborazione tra azionisti ed imprese ed il costante scambio reciproco. Ciò di norma non è realizzabile adottando un approccio passivo all’investimento. Se si utilizza un software per prendere decisioni d’investimento od un algoritmo per determinare la ponderazione delle azioni, sorge un interrogativo: chi interagisce con il management e chi vota alle assemblee degli azionisti in materia di corporate governance? Riteniamo che ciò sia particolarmente importante quando si valutano i mercati di frontiera. Esaminiamo ora le ragioni per cui riteniamo che i mercati di frontiera offrano oggi agli investitori potenziali opportunità interessanti.

Crescita economica

Il fatto che le 10 economie a crescita più rapida del mondo rientrino oggi tra i mercati emergenti non dovrebbe sorprendere molti investitori. Ma l’elemento probabilmente inatteso è che, eliminate Cina ed India, le otto economie a crescita più elevata siano in effetti mercati di frontiera.

Continuo sviluppo a livello macroeconomico

Il nostro ottimismo in merito alle opportunità offerte dai mercati di frontiera è sostenuto dai programmi di riforme reali che abbiamo avuto modo di osservare in molti di essi, in netto contrasto rispetto al mondo sviluppato. Nelle regioni sviluppate, in particolare Stati Uniti ed Europa, osserviamo segnali di passaggio a restrizioni commerciali ed isolazionismo, che riteniamo sviluppi economici di natura regressiva. Al contempo, nei mercati di frontiera ed in alcuni emergenti, abbiamo in generale osservato segnali indicanti l’attuazione di iniziative di riforme pacate, ma profonde. La traiettoria dei prezzi delle materie prime ha svolto un ruolo. Nei cosiddetti anni del boom, dal 2000 al 2008, quando i prezzi delle materie prime avevano un buon andamento, la dinamica riformista era poco vivace, soprattutto nei paesi dipendenti dalle esportazioni di materie prime. Ma quando è arrivato il grande shock ed i prezzi delle materie prime hanno subito una pesante correzione, molti di questi paesi hanno dovuto ripartire dai fondamentali e riprendere riforme mirate ad attirare capitali e finanziare lo sviluppo. Alla fine dei conti, per attirare capitali, i paesi (soprattutto i mercati di frontiera) devono dimostrare al mondo di essere capaci di attuare riforme. L’Argentina è un ottimo esempio in proposito. Dopo essere stato eletto presidente a dicembre 2015 con lo slogan “Cambiemos”, Mauricio Macri ha attuato una serie di riforme comprendenti l’adozione di controlli valutari e la composizione di un contenzioso decennale che aveva escluso l’Argentina dai mercati di capitali internazionali. A seguito di tali riforme, l’Argentina è riuscita ad accedere nuovamente a tali mercati e ad aprile 2016 ha lanciato un’emissione di titoli di stato per 16,5 miliardi di dollari statunitensi. L’Egitto sta ora attraversando una fase analoga. Ha lasciato la valuta libera di fluttuare ed in seguito ha ottenuto un finanziamento di 12 miliardi di dollari statunitensi dal Fondo Monetario Internazionale. Questi esempi ci dimostrano che l’impegno nelle riforme può tradursi in attività economica.

Valutazioni interessanti con correlazione limitata

Quando parliamo dell’attrattività degli investimenti nei mercati di frontiera, le valutazioni tendono a rappresentare il singolo fattore più importante per molti investitori. Attualmente, le azioni dei mercati di frontiera sono scambiate a valutazioni a nostro giudizio molto basse rispetto a quelle dei mercati sviluppati ed emergenti, come illustrato nel grafico seguente. Al contempo, come classe di asset, i mercati di frontiera hanno tradizionalmente evidenziato una bassissima correlazione con mercati emergenti come Cina, Brasile od Indonesia, oppure con mercati sviluppati quali Stati Uniti, Giappone o Regno Unito.

Diversità ed opportunità

Come nel caso dei mercati emergenti in generale, i profani potrebbero avere la tendenza ad accomunare tutti i mercati di frontiera sotto uno stesso tetto. A nostro avviso sarebbe uno sbaglio. Riteniamo che nel caso dei mercati di frontiera questo approccio dello “stesso tetto” sia ancora più fuorviante che per i mercati emergenti. Ai nostri occhi, le diversità tra questi paesi sono notevoli. Per esempio, il Vietnam è completamente diverso dalla Costa d’Avorio, che è a sua volta differente dalla Nigeria, che si distingue dalla Romania. In realtà, i mercati di frontiera sono sotto svariati aspetti molto più diversi tra loro di quanto lo siano i mercati emergenti. Ciò offre sfide ed opportunità. Nel complesso tuttavia prevediamo che il genere di riforme che stiamo ora osservando nei mercati di frontiera sia l’humus ideale per miglioramenti in termini di turnover e dimensioni e per maggiori opportunità future per gli investitori azionari in questo spazio dinamico.

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