L’ascesa del populismo e il suo impatto sull’economia

A cura di D. Saint-Georges, Managing Director e Membro del Comitato Investimenti di Carmignac

L’ascesa del populismo e il suo impatto sui mercati costituisce un tipico caso di “riflessività”, dove cause ed effetti si intersecano in una complessa relazione circolare. L’origine di questa relazione risale ai primi anni 2000, quando i policy maker statunitensi decisero di trattare con politiche molto accomodanti lo scoppio della bolla del settore TMT e la percezione del rischio dei mercati e dell’economia conseguente agli attacchi terroristici dell’11 settembre.

Questa terapia ha spinto al rialzo i consumi e la valutazione delle attività finanziare, ma ha anche incoraggiato l’indebitamento, l’ingegneria finanziaria, l’assunzione dei rischi da parte delle banche, che sua volta hanno alimentato mutui ipotecari eccessivi. La conseguente crisi del credito del 2008 comportò il crollo dei mercati, creando un nuovo rischio di recessione, a cui fu posto rimedio con una politica monetaria ancora più espansiva.

Questo lungo periodo è stato fino ad oggi caratterizzato da governi altamente indebitati, che non erano in grado di affrontare questioni legate all’attività economica, e che affidarono quindi alle Banche Centrali la responsabilità di gestire la minaccia della recessione. L’azione delle Banche Centrali ha comportato principalmente un aumento del prezzo degli asset finanziari, mentre i livelli dei salari e l’attività economica sono rimasti molto contenuti.

Questa resa unilaterale dei governi nei confronti delle Banche Centrali e il conseguente incremento delle ineguaglianze tra percettori di reddito e proprietari di attività, ha alimentato un crescente livello di malcontento popolare. Perciò i governi democratici si sono trovati in grande difficoltà alle elezioni. Questo ha creato un’opportunità unica per i partiti populisti, che hanno incolpato il sistema nel suo complesso e proposto soluzioni semplici, prendendo di mira vari capri espiatori, spaziando dal tema degli immigrati a Bruxelles, Cina, Messico ecc.

La corrente populista ha avuto la meglio negli Stati Uniti. Inizialmente, i mercati hanno dato per scontato che il programma neo-mercantilistico sarebbe stato implementato. Questo ha spinto in alto sia il dollaro – logica conseguenza di una riduzione nel deficit commerciale e nei flussi di capitale in ingresso -, sia i mercati azionari statunitensi, a causa del taglio delle tasse. Tuttavia, il sistema di check and balances delle istituzioni statunitensi è tale che l’implementazione di questo stesso programma sembra di difficile attuazione. Le promesse di aumento delle spese di difesa e delle infrastrutture e l’abbassamento delle tasse hanno vinto le elezioni, d’altro canto, la loro implementazione sta incontrando molti ostacoli. Di questo passo, il malcontento potrebbe tornare presto alla ribalta e creare nuove tensioni politiche. Il dollaro statunitense si è di nuovo svalutato.

I temi populisti hanno anche vinto il dibattito sulla Brexit, ma siccome stiamo parlando di una decisione eccezionale, nonostante la sua portata sia di vasta scala, sarà comunque implementata. Di conseguenza, l’economia britannica dovrà affrontare gli effetti della decisione politica di lasciare l’Unione Europea. Tali conseguenze potrebbero includere un ulteriore indebolimento della valuta (poiché l’uscita di capitali non permette di finanziare un deficit di parte corrente molto ampio) e un rialzo dell’inflazione importata, che avrebbe ripercussioni sui consumatori. Molti posti di lavoro potrebbero andare persi, a beneficio dei Paesi europei. Quindi in questo caso non si tratta di abbandono delle promesse populiste, ma al contrario dei costi che derivano dal mantenimento delle stesse, che potrebbero produrre nuovo malcontento. A differenza di quanto affermato da Theresa May, per il Regno Unito “nessun accordo” sarebbe peggiore di un “cattivo affare”. Questo mette il Regno Unito in una posizione negoziale debole. La sterlina potrebbe indebolirsi ulteriormente e alimentare un impatto a spirale su inflazione e consumi.

Curiosamente, tutto questo sta accadendo allo stesso tempo sotto forma di un’ampia ripresa economica. Di conseguenza, i mercati possono permettersi il lusso di godere da subito del ciclo economico e di preoccuparsi delle conseguenze del populismo sul mercato in un secondo tempo.

Quando avviene un ribaltamento del ciclo economico, il rischio per i mercati è che, in assenza di una rete di sicurezza, i difetti delle ideologie populiste potrebbero emergere. Le speranze infondate o conseguenze economiche nascoste faranno capolino e i mercati avranno bisogno di adeguare le valutazioni.

Fortunatamente, la Francia non ha scelto la strada del populismo. Ma in ogni caso, le motivazioni che hanno fatto emergere pressioni populiste sono ancora presenti: performance economica mediocre, ineguaglianze, disoccupazione. Se le alternative più coraggiose non riuscissero a risolvere i problemi, la tentazione di credere a programmi demagogici tornerebbe sulla scena, pronta a vendicarsi. L’economia e la politica sono entrate in una relazione circolare di causa-effetto. I mercati avranno bisogno di monitorare con attenzione gli avvenimenti nel corso dei prossimi trimestri.

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