La Brexit si complica ancora di più

A cura di Amundi Am
Quando ad aprile il premier britannico Theresa May ha annunciato le elezioni anticipate, il suo scopo era quello di rafforzare sia la maggioranza del suo partito in Parlamento, sia la sua posizione, così da negoziare più efficacemente le modalità della Brexit. Un successo elettorale le avrebbe consentito di tener meglio testa all’ala più euroscettica dei Conservatori quando il governo britannico, nonostante la durezza della posizione iniziale, avrebbe dovuto fare inevitabilmente delle concessioni in vista di un accordo sostenibile con gli europei. Theresa May ha però perso la scommessa. Con 318 seggi su 650 (in precedenza ne avevano 330), i Conservatori rimangono comunque di gran lunga la forza politica più importante in Parlamento, ma hanno perso la maggioranza assoluta, e dovranno governare con il sostegno di un altro partito (probabilmente quello del DUP, il partito unionista nordirlandese).
Visibilità ulteriormente ridotta riguardo al processo della Brexit. La scommessa perduta della May può essere ricondotta in parte alla volontà di alcuni britannici di sconfessare la sua strategia riguardo a una hard Brexit che prevede un’uscita totale dal mercato unico e dalla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la preferenza per “nessun accordo rispetto a un cattivo accordo”, e la minaccia velata di utilizzare la fiscalità per aumentare la competitività del Regno Unito. Di certo, l’esito delle elezioni non rende più agevole l’iter delle trattative.
Nell’immediato ci si chiede se Theresa May, la donna con cui gli Europei si preparano da mesi a condurre i negoziati, rimarrà al suo posto. Come se non bastasse, un governo britannico di coalizione, con una base parlamentare più ristretta, rischia di essere tenuto in ostaggio da un manipolo di deputati conservatori (tra cui i più euroscettici) o dai deputati del DUP che potrebbero cercare di imporre la loro agenda sull’Irlanda del nord. Infine, non si può escludere che per uscire da un’impasse politica si tengano delle nuove elezioni, una prospettiva che potrebbe limitare la portata dei progressi dei negoziati.
La scadenza del marzo 2019 sembra strettissima.
– Visto il tempo che servirà al governo britannico per confermare o ridefinire la sua strategia sulla Brexit, potrebbe risultare difficile iniziare i negoziati per la data prevista del 19 giugno. Considerati tutti i mesi già persi dall’attivazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, la scadenza (in teoria il marzo 2019) sembra sempre più stretta e potrebbe dover essere  rimandata (decisione che richiederebbe il consenso unanime dei membri dell’UE). Ciò non rafforza la posizione negoziale del Regno Unito, già indebolita dal contesto economico della zona Euro (l’economia britannica sta rallentando, mentre quella della zona Euro sta accelerando) e dal contesto politico (l’esito delle elezioni presidenziali francesi ha eliminato il rischio di una Frexit e potrebbe aprire la strada a una collaborazione più stretta tra Francia e Germania).
C’è quindi da attendersi probabilmente un maggior grado d’incertezza che potrebbe  danneggiare più i britannici che gli europei, ovvero episodi di dubbi momentanei sulla  possibilità stessa di addivenire a un accordo. Noi crediamo tuttavia che alla fine si troverà un terreno d’intesa, perché l’applicazione delle sole clausole sul commercio dell’OMC tra il Regno Unito e l’Europa penalizzerebbe entrambe le parti. Un’intesa includerà  probabilmente il mantenimento del libero scambio dei beni, il mantenimento parziale del libero scambio dei servizi e dei compromessi su punti spinosi come la libera circolazione delle persone e il contributo del Regno Unito al bilancio europeo.

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