La digitalizzazione ha cambiato le regole del commercio. Come approfittarne

A cura David Polak, gestore del Capital Group New Perspective Fund di Capital Group

Nell’ultimo ventennio la nozione stessa di “società globale” ha evidenziato un’evoluzione. Da un lato esistono le grandi multinazionali tradizionali, che dominano i settori delle materie prime, dei prodotti industriali pesanti e dei beni di consumo. Ma esiste anche un’intera generazione di nuove società globali emerse negli ultimi vent’anni, che rappresentano dei colossi dell’economia digitale: basti pensare ad Alphabet (Google), Amazon e Priceline, gli esempi più immediati. Molti segmenti dell’economia digitale non vengono inglobati negli indicatori tradizionali del commercio internazionale e della crescita del prodotto interno lordo. Analogamente, molti aspetti dell’economia digitale non possono essere facilmente regolamentati da accordi commerciali o regimi tariffari. Per dare un’idea dell’espansione del settore, il traffico digitale internazionale è aumentato di 40 volte rispetto al 2007 e secondo le previsioni nei prossimi sette anni aumenterà di altre 13 volte.

Le rinegoziazioni commerciali potrebbero avere un impatto più significativo per le società che si occupano di produzione, piuttosto che per le società digitali. Anche le piattaforme digitali stanno riplasmando le dinamiche dell’attività economica internazionale, riducendo i costi delle operazioni. Le soluzioni software per l’impresa e il cloud computing permettono alle aziende di innovare nuovi prodotti e le soluzioni in diverse sedi, così da raggiungere prima il mercato. Le piccole e medie imprese sono state in grado di accedere ai mercati globali avvalendosi di piattaforme digitali quali Amazon, eBay, Facebook e Alibaba, per entrare in collegamento con clienti e fornitori di altri paesi.

Con l’aumento della loro importanza, le questioni legate al commercio digitale e alla proprietà intellettuale acquisiscono un ruolo di primo piano negli accordi commerciali. Allo stesso modo, le autorità di regolamentazione stanno cercando di ottenere un maggiore controllo sulle questioni legate alla privacy, alla sede dei server e all’accesso alle informazioni e ai servizi online. Con la sempre crescente digitalizzazione delle idee, delle informazioni e del commercio, queste tematiche continueranno a mantenere un ruolo di primo piano.

Oggi le supply chain sono profondamente radicate in tutto il mondo e non sarà facile estirparle. L’esempio più ovvio è quello di Apple: la sua supply chain coinvolge 30 paesi e l’azienda è in grado di sfruttarla abilmente a suo vantaggio, ricercando fornitori capaci di fabbricare componenti nel modo più conveniente possibile, pur rimanendo fedele ai suoi requisiti qualitativi. La strategia di Apple è motivata dalla necessità di scalare e gestire il rischio legato alla supply chain, non solamente dai costi. La società potrebbe procedere a un’ulteriore diversificazione delle sue fonti di approvvigionamento nei vari paesi per avvicinarsi ai mercati finali, anche trasferendo parte della produzione negli Stati Uniti.

Inoltre, le supply chain hanno assunto una portata globale e le società hanno ottenuto una specializzazione e una scalabilità difficili, se non impossibili, da replicare. Ad esempio, Taiwan Semiconductor Manufacturing (TSMC) domina alcuni segmenti del mercato dei chip per computer che sono quasi impossibili da ricreare, in termini di design o di scala. Analogamente, Broadcom domina il mercato dei chip per smarthpone, Visa e MasterCard controllano il sistema dei pagamenti con carta di credito quasi in tutto il mondo, e tre società – Novartis, Amgen e Roche – rappresentano metà delle vendite globali di medicinali per il cancro. Alla luce della loro posizione dominante nei rispettivi settori, queste società possono essere definite leader globali.

In alcuni settori, le imprese sono disposte ad assorbire costi più elevati perché, a lungo termine, il vantaggio di operare in determinati luoghi supera l’onere di breve periodo. Caterpillar, General Motors e Ford sono solo alcune delle grandi società statunitensi che hanno dichiarato di voler rimanere ancorate a piani di ristrutturazione che prevedono lo spostamento della produzione in Messico, paese che negli anni si è affermato tra i principali centri di produzione di auto e componenti per auto. Circa 90 dei primi 100 produttori di componenti per auto nel mondo hanno sedi produttive nel paese. Gli stabilimenti sono concentrati in soli cinque stati, e questo riduce i costi di trasporto. Il Messico ha inoltre stipulato degli accordi per il libero scambio con diversi paesi nel mondo, ottenendo così accesso alla maggior parte dei principali mercati.

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